Il 7 ottobre 2006 moriva Anna Politkovskaja. Giornalista e attivista per i diritti umani, la donna fu uccisa a colpi d’arma da fuoco nell’ascensore dell’edificio dove abitava, a Mosca.

Quella d Politkovskaja era senz’altro una personalità scomoda. Dal 1999 la giornalista indagava sul confilitto in Cecenia per il periodico indipendente Novaja Gazeta  mentre nel 2005 pubblicò un libro inchiesta sul presidente Vladimir Putin e sulla Russia dei primi anni duemila intitolato “La Russia di Putin”. Il suo costante impegno nelle zone di guerra e la sua determinazione nella difesa dei diritti umani le erano valsi diversi premi tra cui il Global Award di Amnesty International per il giornalismo in difesa dei diritti umani nel 2001 e il premio dell’Ocse per il giornalismo e la democrazia, due anni dopo.  Nel 2014 per l’omicidio della donna furono condannati a due ergastoli i sicari che hanno materialmente compiuto l’omicidio ma i mandanti rimangono tutt’ora sconosciuti.

Il 17 luglio scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Russia per non aver “messo in atto le indagini appropriate per identificare i mandanti” dell’omicidio di moriva Anna Politkovskaja, mancando così “agli obblighi relativi alla effettività e alla durata delle indagini, circostanza che ha portato alla violazione della Convenzione europea dei dirtti dell’uomo.

Secondo i giudici di Strasburgo, Mosca si è concentrata troppo sulla teoria che ipotizzava il coinvolgimento di “un uomo d’affari russo che risiedeva a Londra, ora deceduto” (Boris Berezovsky) nella morte della giornalista e ha così trascurato altre ipotesi, “comprese quelle suggerite dalle ricorrenti, secondo cui nell’assassinio sono stati coinvolti gli agenti del FSB, i servizi segreti russi, o l’amministrazione della Repubblica cecena”.

Per ricordare la vita e l’impegno della giornalista russa, il settimanale “internazionale” ha istituito nel 2009 il premio Anna Politkovskaja per sostenere i giovani reporter che rischiano la vita per portare a termine le loro inchieste.