Le ferite sulla pelle dell’arte
La Svizzera tra le guerre, prima durante e dopo. Un excursus interessante per visitare due belle mostre, una in Italia ed una Svizzera con lo stesso intento: comprendere il ruolo della Svizzera nei processi culturali.
La prima mostra, quella in territorio svizzero appunto è a Mendrisio e s’inaugura oggi (ore 17) al Museo d’Arte , dal titolo evocativo di Max Beckmann a cura di Siegfried Gohr e che proseguirà sino a fine Gennaio 2019. Artista tedesco amato e spesso sottovalutato,Max Beckmann ha avuto il grande ruolo (e privilegio) di essere stato un grande testimone della storia di quegli anni, purtroppo orribili, tra le due guerre mondiali. La mostra, che vanta la collaborazione anche degli archivi dell’artista di Monaco ed è corredata da una intera sezione di documenti e fotografie che ne testimoniano la vita, si sviluppa in un percorso circolare tra 30 dei suoi dipinti più intensi, 17 acquarelli e, dulcis in fundo, ben 80 opere grafiche messe a dialogare con 2 sculture.
E ben si comprende visitando la mostra, il ruolo di questo itinerario come processo culturale: far conoscere l’opera di questo artista anche nella vicina Italia, per esempio, data anche la vicinanza geografica. Una retrospettiva unica dove non mancano cenni nel bel catalogo della mostra anche al mondo così tipico di quegli anni: la passione per la letteratura, la testimonianza alle vicende della politica e per il senso profondo della vita e della morte, che prendono forma però in modo semplice, negli oggetti rappresentati nelle opere, candele, calze, cappelli, manicotti, cappotti, carri, travi, legni, in particolare in quelle grafiche, in oggetti che vengono rappresentati non come segno grafico ma come segno, significante e significato, insieme di processi vitali o, purtroppo, di rabbia e di morte.
E se, forse la Svizzera è stata testimone di questa parabola artistica quando l’artista era ancora in vita prima che si trasferisse in America, come molti paesi del nord Europa (avendolo fatto sentire anche un “indesiderato” benchè “tollerato per questa sua arte che a quei tempi veniva definita “degenerata” perchè non astrazione pura ma neppure imitazione della realtà), è forse questo il motivo per cui farlo conoscere oltr’Alpe è sentito come qualcosa di così importante: Max Beckmann sicuramente è molto noto nel nord Europa e praticamente sconosciuto a livello di mostre “popolari”nella vicina Italia proprio perchè l’Italia l’ha sempre accolto turisticamente (non artisticamente), ma in modo molto caloroso.
E così, se nella mostra Svizzera di Mendrisio su Beckmann non c’è nulla di quella “perversione degli umori” ma solo l’abbandonarsi istintivo all’arte in un periodo storico ricco di brutture e atrocità, non per essere evocate ma bensì testimoniate e comprese nella bellezza anche dei quadri e disegni solari delle estati italiane, nella mostra che si inaugura oggi alla Fondazione Ferrero di Alba in Italia, sono proprio i processi culturali innescati proprio in svizzera tra le due guerre a fare da protagonista, quasi un “percorso ideale”, una sorta di “andata e ritorno” tacito e non espresso esplicitamente, tra questi due paesi, l’Italia e la Svizzera, confinanti ma spesso quasi inconsapevolmente, in continuo dialogo culturale ed in una dimensione fortemente europea.
Dal 27 ottobre al 25 febbraio 2019 quindi nella Fondazione dedicata a Piera, Pietro e Giovanni Ferrero ad Alba,in un tratto di Italia, le Langhe appunto, unico e magico in modo particolare in autunno, ecco la mostra “Dal nulla al sogno. Dada e Surrealismo dalla Collezione del Museo Boijmans Van Beuningen”, a cura di Marco Vallora. Una mostra che non vuole essere solo una sorta di excursus delle opere del Museo collezionistico olandese di Rotterdam (la famosa collezione del mecenate del movimento dadaista Edward James), ma anche un percorso emozionale attraverso proprio la più grande collezione del movimento che nacque proprio a Zurigo, nel celebre Caffè Voltarie di come l’arte “degenerata” di quegli anni si concretizzò. Dopo le celebrazioni svizzere del 2016 del centenario, l’occupazione “pacifica” del Caffè Voltaire due anni prima (di cui ci si rese conto paradossalmente solo il giorno dopo) ecco che il movimento Dada nato in Svizzera che fa ancora parlare di sè, per quei cabaret, ritrovi di artisti “degenerati” e questa volta, proprio in Italia. Una novità anche questa, dal momento che è la prima volta e grazie a Fondazione Ferrero che la collezione olandese (di quel nord Europa di cui si scriveva precedentemente) arriva in Italia. Dalle grandi suggestioni dadaiste alle testimonianze surrealiste di Dalì e Magritte, ecco un itinerario incredibile e con opere celebri oltre che famosissime e fruibili in una visita totalmente gratuita (oltre anche a qualche suggestione in più extra-collezione, voluta dal suo curatore) .
Nove grandi sezioni di opere straordinarie che legano non solo i quadri, le riviste e le poesie, ma anche filmati e sculture. Come per la mostra di Beckamann a Mendrisio, anche Alba con la Fondazione Ferrero vuole offrire non ad una grande città ma al pubblico vasto di chi vorrà visitarla una sorta di “lente di ingrandimento” per andare oltre bruttezze ed orrori, relazioni tra incubi e sogni di un periodo, quello delle due guerre che ha purtroppo segnato un’epoca con stragi e devastazioni di ogni tipo.
Un monito a non dimenticare aspirazioni e sogni dei giovani di ieri e di oggi, in particolare come testimonianza per le nuove generazioni di adesso, per non abbandonarsi alle brutture del mondo, o, deformandole, forse, sopportarle di più evitando di farsi però schiacciare. Concludendo, che sia un provocare la gente o un maledirla da un cabaret (ambienti tra l’altro testimoniati molto bene in entrambe le mostre) le due mostre in Italia ed in Svizzera, invocano la voglia di non costruirsi più nemici interiori. Non dargli più forma o aspetto (non si dimentichi a titolo di esempio che il Dadaismo è l’unico movimento che si è autodistrutto da sè in arte), ma vederlo come una voglia di “andare oltre”, quasi bestiario fantastico, per esorcizzare la vita: quella propria e quella degli altri a maggior ragione, in particolari momenti storici, orrendi e di guerra. E chissà, come ha testimoniato Beckmann nei suoi quadri meno cupi dipinti proprio durante i suoi soggiorni italiani in particolare in Toscana ed in Versilia, che la vita anche nelle brutture più inenarrabili e gli omicidi di guerra più efferati, non insegni all’uomo quanto sia leggera e soave. Solo come pura cerca di felicità esistenziale che ha bisogno del suo tempo, del suo corso. Come una ferita sulla pelle sana dell’arte, pronto a rimarginarsi alla prima occasione. Mostre sicuramente entrambe da visitare.
Cristina T. Chiochia