Il repubblicano Bob Coker, presidente della commissione Relazioni estere del senato degli Stati Uniti, ha le idee chiare sul coinvolgimento del principe ereditario Mohammad Bin Salman nell’omicidio del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi: “Ho zero dubbi sul fatto che il principe ereditario abbia diretto l’omicidio e sia stato tenuto al corrente della situazione per tutto l’iter”” ha dichiarato Coker dopo l’incontro con il capo della CIA Gina Haspel che ha aggiornato un ristretto gruppo di senatori sulla vicenda. Le parole del repubblicano fanno pensare che ci siano concrete possibilità che il Congresso adotti delle sanzioni punitive contro l’Arabia Saudita. Infatti, anche il senatore Lindsey Graham ha detto la sua chiedendo al presidente Donald Trump di prendere una posizione più decisa in tutta la vicenda e riconoscere finalmente il coinvolgimento del principe.
Nonostante la Haspel abbia riferito le informazioni a un piccolo gruppo dei senatori, i democratici ora insistono che queste siano riferite a tutti i membri del senato. In particolare Dick Durbin insiste affinchè “ogni senatore senta” quello che ha sentito lui durante l’incontro.
Nella giornata di ieri inoltre è arrivata anche la notizia relativa all’emissione di mandati di cattura per i presunti assassini di Khashoggi: Saud al Qahtani, consigliere del principe e Ahmed al Asiri, generale e uno degli uomini più importanti dell’intelligence saudita. Il mandato è stato emesso dalla procura di Istanbul e Riad ha già respinto le richieste di estradizione. Il rifiuto dell’Arabia Saudita non è di certo sorprendente e probabilmente messo in conto fin dall’inizio dalla procura. È chiaro che l’azione non voleva sortire effetti immediati ma piuttosto far capire al principe bin Salman che l’attenzione sul caso non è scemata e che la Turchia non intende allentare la pressione.
Negli ultimi giorni è stata diffusa la notizia secondo la quale esisterebbe una intercettazione telefonica in cui MbS chiede al fratello, ambasciatore negli USA, di “mettere a tacere Khashoggi”. Giornalista scomodo per il regime saudita, Khashoggi ha sempre criticato aspramente il governo del proprio paese e per questo viveva in esilio volontario negli Stati Uniti. Non è certo che la registrazione esista ma le recenti dichiarazioni dei senatori che hanno parlato con la CIA fanno pensare che le prove sul coinvolgimento del principe siano inequivocabili.
Il fardello dell’omicidio di un giornalista in una sede diplomatica continuerà a gravare sull’Arabia Saudita ma per adesso il principale sospettato non sembra risentirne. Il principe Mohammad ha infatti partecipato al G20 di Buenos Aires, svolgendo il suo ruolo di capo di stato affermando ancora una volta quella che sembra una vera e propria immunità. Inattaccabile e protetto dall’enorme volume di affari e dagli importanti scambi commerciali che la monarchia saudita mantiene con alcune delle nazioni più potenti al mondo. Per primi gli Stati Uniti, il cui presidente sembra bendato di fronte alla colpevolezza di un partner commerciale conveniente, la cui partecipazione ad un delitto vile ed efferato non sembra intaccarne la reputazione.
Non è chiaro per adesso come la vicenda si svolgerà in seguito ma gli importanti interessi economici che ci sono in ballo fanno temere che la tragica morte dell’uomo possa ricadere nell’oblio riservato agli episodi scomodi.