Il 5 febbraio del 27 a C Ottaviano fu proclamato Augusto, Pater Patriae. A sancire la sua gloria e la sua successiva divinizzazione, un’opera di straordinarie dimensioni era in costruzione dall’anno precedente. In un parco che ospitava sepolcri e templi, che Strabone descrive come ameno e lussureggiante, l’imperatore scelse il luogo per il sepolcreto di sé e di tutti i suoi successori e alleati.
Come un cilindro, sorse svettante verso il cielo, alto oltre 40 metri d’altezza, preceduto da due obelischi la cui ombra, il giorno della nascita dell’Imperatore, andava ad accarezzare esattamente l’Ara Pacis, il tempio che l’imperatore aveva fatto costruire per commemorare la Res Publica pacificata.
Il Mausoleo d’Augusto si erge da duemila anni nell’area dell’Ara Pacis, oggi incastonata in una (discutibile) teca vitrea e modernista. La sua storia, vexatissima quaestio, lo vide protagonista di trasformazioni. Nel Medioevo divenne un castello della famiglia Colonna, (prestigiosa famiglia che darà a Roma anche un Papa), che si barricò dentro alla possente costruzione per difendersi dalle tremende invasioni post imperiali.
Dal rinascimento, divenne tristemente, come il Colosseo e i Fori Romani, cava da costruzione. I materiali furono asportati, e il monumento perse la sua fisionomia cilindrica. Alla fine del Cinquecento venne attorniato da giardini all’Italiana, diventando, in epoca barocca, il simbolo di un quartiere vivace e vitale.
Fu nel Settecento che ebbe la sua rinascita. Antifilologica, certo, in quanto da mausoleo e ex castello divenne una sala per concerti, il famoso Anfiteatro Correa. Era il 1780 e il marchese Vincenzo Correa vi costruì piazza e arena al centro e palchi in legno sugli spalti. Su modello del Colosseo, gli architetti tentarono anche di instaurare un velarium, che purtroppo rovinò nel 1826.
Nel 1908 grazie all’iniziativa della direzione dell’Accademia di Santa Cecilia, completamente trasformato, divenne uno splendido edificio dall’interno in vetro liberty. simbolo della Roma post – umbertina e teatro dei più grandi direttori d’orchestra, quali Toscanini.
L’acustica era fantastica, ed il simbolo del Novecento splendette nel suo ultimo canto del cigno.
Nel 1936 infatti, per le direttive di Mussolini, fu completamente smantellato, con il progetto di portare alla luce la sua primigenia (ma ormai scarnificata) fisionomia.
Oggi il Mausoleo si presenta così: scarnificato, senza memoria degna della gloria che ebbe.
Con sei milioni donati da TIM, l’architetto Cellini ha tuttavia recentemente vinto l’appalto per il restauro.
I romani sperano così di riavere, restituito alla sua memoria, uno dei monumenti simbolo dell’Impero, attorno al quale potrebbe sorgere una suggestiva (e, si spera, pulita e sicura) passeggiata archeologica.