Due mostre in Italia
L’esplosione del colore. Che crea dissolvenze incrociate e spolvera di nuovo ciò che si intende per buona fotografia. Ecco quello che ultimamente sta avvenendo in Italia, in particolare in due belle mostre fotografiche vicine al confine, una a Milano del francese Charles Fréger, nato come fotografo teatrale, ed una a Pavia su Vivian Maier, nata come sconosciuta bambinaia con la passione per la fotografia, oggi celebre in tutto il mondo dopo un fortuito ritrovamento dei suoi negativi.
In mostra in Italia a Milano, nell’ottica del “fashion art museum” di Giorgio Armani nello spazio dei Silos, una nuova ricerca fotografica basata sul tema dell’intreccio, della “Fabula” appunto, come ben definisce il titolo della mostra che può quasi dirsi, addirittura, antropologica oltre che fotografica. Una sintesi di 250 immagini che fa un focus su tanti diversi piani, attraverso il grande tema dell’apprendistato con un fotografo, Charles Freger appunto, classe 1975, che pone l’accento su di un linguaggio fotografico inedito e sperimentato sul campo in anni edanni di lavoro, su diverse comunità e gruppi culturali sparsi per il mondo, partendo in primis dagli individui che creano la comunità stessa e che, sia che si tratti di lottatori di Sumo o legionari o pattinatrici di nuoto sincronizzato, testimoniano il ruolo che ricoprono nel gruppo di appartenenza stesso attraverso proprio l’uso del colore. Con delle foto vivissime nell’uso della luce e che esprimono in modo a volte surreale e a volte sin troppo reale (spesso innovativo), codici di comportamento oltre che di abbigliamento. Una retrospettiva che ha aperto al pubblico il 12 gennaio all’Armani -Silos di Milano, in occasione della settimana della moda uomo ma che prosegue con successo sino al 24 Marzo 2019.
Da segnalare la sala con le fotografie degli eserciti e delle loro uniformi di rappresentanza e le foto dei soldati Sikh indiani che fa da controcanto alla bella sala di Dream, installazione video-fotografica, realizzata in occasione del progetto Outemer e che ha anche una sezione video sulle donne tahitiane presentandola come “terra dell’altrove” in sei separati video.
Ed è proprio questo gusto video-colore-fotografia che si ritrova anche nella nuova mostra a Pavia su Vivian Maier presso le Scuderie del Castello Visconteo. Come ha sottolineato il curatore della mostra durante la presentazione alla stampa: “il successo, indiscutibile di Vivian Maier è dovuto a diversi fattori, ma come sempre accade con le realtà di un certo spessore e profondità, bisogna imparare a osservarle da piu’ punti di vista per riuscire a coglierne il senso”. Ed infatti dal 9 Febbraio al 5 Maggio 2019 la street photographer bambinaia americana, con i suoi tanti rullini neppure ancora sviluppati, esplode nel colore, con la sua complessità e grandezza. Per la prima volta quindi, accanto alle foto in bianco e nero del primo periodo, ecco arrivano quelle inedite a colori, appena mostrate al pubblico internazionale.
Ed è proprio nella sezione a colori della mostra ed in quella video, che Vivian Maier pae raccontarsi in una sorta di città ancora più reale, con uno spazio e tempo amplificati oltre che insolitamente dilatati. La città che diventa mondo, al contrario di quello che accade nella mostra di Freger e che in questo modo appare come teatro naturale dove “la fotografia coglie, racconta e in qualche modo, ne è anche parte in causa, le storie vengono così messe in scena” continua il curatore della mostra. L’allestimento della mostra di Pavia coglie quindi nel lavoro della Vivian Maier una nuova sfumatura,a cui non si era ancora abituati. L’uso del colore nella fotografia e nei video girati come una sorta di “ritratto fotografico”. Concludendo, si può quindi dire che anche quella della Maier anche se in altro modo, è una ricerca antropologica che si focalizza però non su diverse comunità, ma sui singoli individui che compongono il suo mondo fotografico di tutti i giorni e proprio grazie all’uso del colore ancor più netto. Interessante anche alcune nuove foto inedite al pubblico, sempre a colori, dove anche la bambinaia fotografa propone una riflessione sui codici di abbigliamento che vengono adottari per far parte di un gruppo proprio sull’idea della “divisa” in senso lato e del colore giallo in questo caso. Due mostre molto diverse tra di loro ma estremamente attuali per la loro capacità di cogliere e quasi di rivelare, l’essenza e la natura prima di tutto umana, tra identità e ruolo sociale di chi è protagonista dello scatto.
Da non perdere.
Cristina T. Chiochia