Altri personaggi entrano in campo nella narrazione finale tucididea (VIII,68) di chi contribuì al Colpo di Stato ateniese

Così come un’isola entra in gioco: Samo, la Resistente

L’isola di Samo, oggi.

Lisia, figlio del democratico Agnone, il celebre oratore ateniese democratico che sarà profondamente danneggiato nel patrimonio dagli oligarchi al potere, nella Contro Eratostene, orazione scritta in seguito al Secondo Colpo di Stato, quello del 405, in cui subirà angherie da parte dei Trenta Tiranni, scrive che Teramene fu il principale artefice della prima oligarchia. Inoltre Lisia parlando del padre tuttavia dice che fu un probulo ed ebbe ruolo attivo nel colpo di stato oligarchico.

Antifonte, dall’incerta identità: fu Antifonte il sofista, o il retore? Del sofista abbiamo frammenti di un trattato sulla verità, dal retore orazioni giudiziarie, se esse siano la stessa persona non è dato ad oggi sapere, e forse non lo sarà mai. Costui, è descritto da Tucidide come virtuoso, come il più valente, e abilissimo nell’esporre quel che pensava (cosa non da poco, nell’agorà greca) e, preannuncia Tucidide, alla caduta del regime oligarchico durato soltanto un anno, egli pronunciò la più bella orazione, che tuttavia non lo salvò dalla condanna a morte.

Frinico, che cambiò subitaneamente partito, cooperando, per paura degli intrighi da lui stesso provocati a Samo tra Alcibiade e Astioco, all’oligarchia, immaginando erroneamente che Alcibiade non sarebbe rientrato ad Atene sotto un’oligarchia.

Teramene, figlio di Agnone, “per primo tra quelli che avevano congiurato ad abbattere la democrazia”, di cui Tucidide, con una litote, riconosce la discreta capacità di pensare e di parlare;  il quale, come racconteranno Senofonte e Diodoro (Tucidide all’epoca sarà già scomprso) nel 406 sarebbe stato lo stratego protagonista della battaglia navale delle Arginuse, tragica vittoria ateniese poiché volta per Atene stessa in tragedia: una tempesta impedì il recupero dei corpi e dei superstiti e Teramene, in quanto luogotenente assieme al socio Trasibulo, venne condannato. L’astuto seppe tuttavia volgere il processo a suo favore e del suo collega, incolpando gli otto strateghi, e facendo sì che, nonostante l’opposizione di Socrate, venissero condannati a morte. Quando si dice mors tua vita mea…

“Era difficile” conclude il capitolo Tucidide “togliere agli Ateniesi quella libertà cui erano abituati da circa 100 anni”: per ironia della sorte, il Colpo di Stato oligarchico veniva attuato esattamente cento anni dopo la cacciata dei tiranni Ippia e Ipparco ad opera di Armodio e Aristogitone (510-511). Tucidide asserisce che ci volevano proprio dei competenti, a far cadere una sì solida e centenaria democrazia.

I Quattrocento s’installano e inviano ambasciatori al re Spartano

I Quattrocento “ciascuno con un pugnale nascosto “ si presentarono nel bouleterion, pagando i predecessori e sostituendoli. Nessuno mosse un dito: forse per paura, gli Ateniesi avevano accettato così d’essere governati da tiranni. Preso il potere, i Quattrocento inviarono dei propri delegati da Agide, il re Spartano (lo stesso che aveva avuto in uggia Alcibiade), il quale rifiutandoli di accogliere, preferì invece da Decelea marciare su Atene armato, per prenderne le lunghe mura, pur senza attaccare: anzi, gli Ateniesi stessi, rinchiusisi dentro la città, catturarono alcuni Spartani avvicinatisi un po’ troppo, senza restituirne i corpi all’esercito. Agide, allora, riportò indietro l’esercito. Solo successivamente, dopo lo strano comportamento del re spartano, tra gli Ateniesi e gli Spartani fu stipulata una tregua.

Samo si mantiene democratica, resistendo all’oligarchia.

Samo, nel frattempo, brulicava d’azione. Persuasi da Pisandro gli oligarchi dell’isola si erano accinti ad assalire i democratici, uccidendo, aiutati da un tal Carmino e da alcuni Ateniesi, un non meglio noto che “malvagio” Iperbolo, solo per dimostrare la propria forza.  I democratici, allarmati, avvisarono i propri strateghi leone e Diomedonte (quelli che avevano sostituito Frinico e collega), i quali, poiché sostenuti dal popolo, mal sopportavano l’oligarchia e perciò quando furono assaliti dai trecento oligarchi, ne uccisero trenta, ne esiliarono tre, e si diressero democraticamente senza rancore. Samo sosteneva infatti di essere la principale artefice del prestigio talassocratico ateniese.

Una nave Samia, chiamata Paralo, con a bordo Cherea di Archestrato, fu inviata ad Atene per mutare la costituzione oligarchica, probabilmente l’equipaggio era ignaro di quanto già accaduto ad Atene. Gli oligarchici ateniesi imprigionarono tre dei Parali, costringendo il resto dell’equipaggio a salire su un’altra nave e a rendersi utili alla causa ateniese sorvegliando l’Eubea. Cherea, tuttavia, nascostosi, riuscì a ritornare a Samo riferendo le efferatezze di cui Atene si stava rendendo colpevole. Cherea esagerò tuttavia il racconto, non disdegnando menzogne contro i Quattrocento.

Così tutti i Sami giurarono di rimanere democratici e concordi.  E fu così che l’isola di dissidenti dura e pura di democratici, si staccò dalla madrepatria Atene. L’oligarchia vacillava di già.

Nell’estate del 411 furono gli Spartani a riallacciare gli accordi con Tissaferne, che tuttavia promise aiuti concreti (la flotta fenicia) che non sarebbero mai arrivati. Il navarco spartano Astioco mosse verso Mileto per attaccare Atene sul mare, la quale, nonostante le sue 108 triremi, non attaccò e ritornò a Samo.

Nella stessa estate gli spartani, poiché Tissaferne, su consiglio di Alcibiade pagava male, si rivolsero all’altro satrapo, Farnabazo, chiedendogli sostentamento. Le navi peloponnesiache tuttavia furono travolte da una tempesta, mentre Bisanzio si staccava da Atene, con una defezione. La storia si stava stravolgendo.

Il ritorno di Alcibiade

Fu nell’estate stessa che Alcibiade poté tornare il quale, molto prudentemente, si fermò prima a Samo. Da lì Trasibulo (il navarco di Samo) continuava a sperare che Tissaferne si staccasse dai Peloponnesiaci per ritornare da Alcibiade e dagli Ateniesi. Alcibiade, rientrato, tenne un discorso esagerando sia la propria influenza su Tissaferne che le pene dell’esilio, i Sami gli credettero e lo fecero stratego, proponendogli id far cadere quell’oligarchia ateniese che lui stesso, se pur alla fine inascoltato, aveva pur contribuito a formare! Infatti Alcibiade rifiutò di far vela contro il Pireo (non voleva tornare subito ad Atene) e tirò fuori la scusa che si sarebbe recato da Tissaferne per discutere della guerra e così fece.

Nel frattempo gli Spartani incolpavano Astioco per la magra paga che, su consiglio di Tissaferne (forse consigliato da Alcibiade o forse id sua sponte), dava ai marinai. Essi arrivarono, per la di lui prepotenza ed il comportamento spocchioso, a linciarlo, ma egli si salvò rifugiandosi in un tempio. Si avverava così il progetto che Alcibiade aveva consigliato a Tissaferne. Promettere senza dare gli aiuti agli Spartani, per logorarli tra loro.

(continua)

Chantal Fantuzzi