I dati ufficiali di questo secondo trimestre mostrano un’economia inglese contratta. La produzione, che comprende anche energia e miniere, ha subito una riduzione dell’1.4% negli ultimi tre mesi. L’Ufficio per le statistiche nazionali ha annunciato che il PIL è sceso dello 0.2% tra aprile e giugno rispetto ad un aumento dell’1.2% nello stesso periodo dello scorso anno. Un crollo della produzione che ha fatto precipitare il PIL nella sua peggiore performance dal 2012.

La notizia shock ha subito visto un calo della sterlina a nuovi minimi. L’andamento dell’economia inglese nel primo semestre 2019 è stato molto peggiore di quanto previsto dalla maggior parte degli economisti ed è stato l’andamento più debole per il Regno Unito dalla crisi globale della fine degli anni 2000. Una caduta disastrosa per la moneta e per l’economia britannica che sta facendo salire adesso le pressioni sulla Brexit.

A causa della Brexit i prossimi mesi saranno probabilmente segnati da un’incertezza tale da rendere il rischio di una recessione molto reale per gli inglesi, soprattutto in caso di uscita senza accordo con l’Unione europea prevista per il 31 ottobre.

La persistente minaccia di una uscita senza accordo, fin dal giugno 2016, ha fortemente pesato sulla propensione al rischio delle imprese inglesi. E questo calo potrebbe essere soltanto un assaggio di quello che avverrà.

In altri tempi, sarebbe stata convocata una riunione di emergenza del gabinetto, dove il primo ministro avrebbe fatto un annuncio per calmare i mercati e rassicurare il popolo.

Negli ultimi tre anni i politici inglesi sono rimasti ciechi di fronte alle preoccupazioni della gente comune. Il dibattito sulla Brexit è bloccato su questioni importanti, e la continua e persistente attenzione dei tanti discorsi pubblici accompagnata dalla nuova linea bellicosa del primo ministro Boris Johnson, fa dimenticare l’impatto che un’uscita senza accordo avrebbe sulla vita quotidiana.

A tre anni dal referendum, la sterlina è crollata del 15% contro l’euro. Una Brexit senza accordo è una minaccia concreta al valore della moneta inglese con pericolose riflessioni sui risparmi e sui redditi da capitale. Anche i prezzi dei supermercati potrebbero risentirne. Un calo della sterlina sui prodotti importati dall’Unione europea, ovvero la gran parte di ciò che proviene dall’estero, comporta un aumento dei costi di importazione. Saranno soprattutto i consumatori che finiranno per pagare questo prezzo. L’aumento dei costi viene infatti trasferito ai clienti con un aumento dei prezzi di vendita nei negozi.

La brusca inversione inglese e una crescita più debole in tutto il mondo, soprattutto in Germania, rappresentano una grave preoccupazione per i lavoratori e per le imprese. La minaccia di Johnson di uscire dall’Unione europea senza un accordo non fa che aumentare l’allarme danneggiando la fiducia nell’economia e mettendo a rischio il lavoro delle persone. Le aziende hanno ridotto gli acquisti esaurendo le scorte accumulate prima della scadenza originale di marzo per lasciare l’Europa mantenendo la produzione a livelli provvisori perché trattenute dal prendere decisioni importanti in un momento di incertezza. I livelli delle importazioni sono crollati di circa 18 miliardi di sterline per trimestre, un calo del 13% sul totale dei beni importati.

Le fabbriche automobilistiche avevano anticipato l’arresto annuale ad aprile, considerando le previsioni della Brexit, che ha colpito la produzione manufatturiera crollata del 2.3% nell’ultimo trimestre. Il calo più grande dell’ultimo decennio. La produzione di attrezzature per il trasporto è scesa, la produzione di prodotti chimici si è fermata, come si è fermata anche quella dei metalli di base. Gli investimenti delle imprese continuano a crollare.

Entrata in recessione e raddoppio del deficit di bilancio per il 2020, è un prezzo altissimo che gli inglesi rischiano di pagare con una uscita dall’UE senza accordo.

Forse è tempo di ripensarci. In un momento dove le circostanze sono cambiate così tanto, la chiave potrebbe essere un nuovo mandato democratico per restituire la decisione al popolo inglese tramite un nuovo referendum.