Papa Francesco (Bergoglio) sarà in Asia dal 19 al 21 ottobre. Visiterà la Tailandia ed il Giappone: due paesi interessanti, ma non certo di  grande presenza cattolica. Un viaggio da capire perché è carico di risvolti e sfaccettature anche politiche.

Foto Wiki commons (Edgar Jimenez)

Per di più Papa Francesco è gesuita e ritorna quindi sui passi dei suoi grandi predecessori: in primis di Alessandro Valignano – Il Visitatore – che fu ambasciatore plenipotenziario nel 16mo secolo con la missione di organizzare la presenza cattolica-cristiana “citra et  ultra gangem”. Al di qua ed al di là del fiume Gange fino al Giappone.

La presenza dei gesuiti era incentrata su Goa-Macao e Nagasaki, naturalmente con il sostegno dei portoghesi. Valignano, un grande genio rinascimentale italiano, per salvare le anime disegnò un approccio basato sulla inculturazione ed adattamento; modello  che andrebbe rivalutato nel mondo moderno secolare.

Poi Matteo Ricci, allievo del Valignano, altro gesuita di enorme talento che è tuttora ricordato in Cina come “il grande amico dell’Occidente”. Per sottolineare l’incredibile lavoro e l’apprezzamento cinese del Ricci, basterà ricordare che nel giardino di un Palazzo del Partito Comunista Cinese è in bella mostra la sua tomba, la quale è stata rispettata anche durante la Rivoluzione Culturale.

Già la memoria di questi due grandi maestri e precursori del movimento dei gesuiti toccherà le corde della commozione e delle riflessioni di Bergoglio. L’apice sarà quando visiterà Nagasaki, luogo dove fu sganciata la seconda bomba atomica americana. Un luogo di grande emozione e ricordi, casualmente anche centro cattolico di maggiore rilevanza in Giappone.

Significativa anche la visita ad Hiroshima (dove venne sganciata la prima bomba) emblema della crudeltà nucleare  e di un paese, il Giappone, l’unico che ha subito l’olocausto atomico.  Gli effetti non finiscono solo con i morti ed i feriti, a centinaia di migliaia; c’è un seguito danni per generazioni.

Immagine Wiki commons (daveahl)

Haruki Murakami, il grande letterato, ha scritto che sulla lapide del monumento alle vittime di Hiroshima sono state incise le seguenti parole: “riposate in pace, non ripeteremo questo errore”.  Purtroppo, a giudicare dalla proliferazione nucleare, non sembra essere così ….

Il Giappone è alleato storico americano, noto per l’ombrello atomico USA a protezione e adamante nel sostenere i tre principi non nucleari: non possedere, non costruire e non introdurre (labile e discutibile quest’ultimo).

Ed è proprio da questo mantra di Hiroshima che Papa Bergoglio intende lanciare il suo messaggio principale al mondo : “ricordate ciò che è accaduto. Le innumerevoli e inenarrabili sofferenze della gente. Basta!”

Il secondo obiettivo di Francesco, oltre a quello di farsi conoscere dai fedeli cattolici, pochi in Tailandia e pochissimi in Giappone, è di visitare due paesi cruciali e nell’occhio del ciclone che si profilano nel mondo geo-politico asiatico;  ed in particolare nel crogiolo dell’estremo oriente.

La missione incomincerà in Tailandia, un paese con un’esperienza centenaria nel sopravvivere ai giganti che la circondano.  È alleata degli Stati Uniti e deve barcamenarsi con una Cina sempre più assertiva. Un paese buddista, ma pacifico.

Papa Francesco intende fare visita ai cattolici, ma anche stringere le mani ai buddisti e shintoisti (Giappone), il linea con i principi del Concilio Vaticano Secondo.

È assodato che a  Kim Yong-un  suoneranno le orecchie ora che il “bombettaro” (come lo soprannominava Trump) è entrato finalmente nel club ormai numeroso dei paesi che hanno la bomba.

Non è il primo viaggio di un Papa in Giappone. Lo ha preceduto, nel 1980,  Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla). Vivendo all’epoca a Tokyo, ricordo la sua estrema attenzione per il vicino di casa, la Cina. Deng Xiaoping aveva da poco lanciato lo slogan delle quattro modernizzazioni.

Il cruccio per Wojtyla era la chiesa sotterranea, tenuta sotto il tallone di Pechino, come sosteneva anche il Cardinale Joseph Zen da Hong Kong: “la chiesa aperta conta su una cinquantina di vescovi, quella clandestina molti di meno”.

Nel frattempo le cose sono migliorate con Pechino. Qualche accordo è stato raggiunto. Prima o poi si faranno passi avanti. Sicuramente Papa Francesco manderà messaggi amichevoli  a Pechino, ricordando che uno dei fondatori del movimento, Francesco Saverio, morì alle porte della Cina in procinto di entrarci.

Quella Cina  dove un suo grande fratello, Matteo Ricci gesuita, impiegò lustri per arrivare ad essere accettato alla corte imperiale dove divenne celebre ed integrato con la sua straordinaria conoscenza del cinese (morì a Pechino nel 1610).  Da leggere per rendersene conto, il suo “de Amicitia” che compose in cinese raccogliendo grande ammirazione.

Un viaggio, in sostanza, con più obiettivi e messaggi che spera vengano ascoltati.

Vittorio Volpi