La stessa notte del 3 gennaio in cui è stato ucciso il generale iraniano Qasem Soleimani, i militari statunitensi avevano un secondo preciso obiettivo nello stato dello Yemen per decapitare, sempre per mezzo di un attacco aereo, la leadership del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica: eliminare un importante comandante iraniano, Abdul Reza Shahlai. Ma la seconda missione non ha avuto successo.

Shahlai è considerato come il principale organizzatore di finanziamenti per le milizie sciite che operano in tutto il Medio Oriente. Il Pentagono lo accusa di una lunga storia di attacchi contro militari americani e loro alleati in tutto il mondo. Donald Trump aveva approvato l’attacco contro Shahlai lo stesso giorno in cui ha autorizzato l’attacco contro il generale Soleimani. Esiste una ricompensa di 15 milioni di dollari sulla sua testa, per le informazioni sulle attività finanziarie, le reti, i suoi soci e sul consegnarlo alla giustizia.

Nel 2007 è stato coinvolto nel rapimento e nell’omicidio di cinque soldati americani in Iraq. Nel 2011 Shahlai ha tentato di uccidere in un ristorante di Washington l’ambasciatore dell’Arabia Saudita Adel Al-Jubeir. Fu scoperto quando l’FBI arrestò poco prima il cugino, Mansour Arbabsiar, all’aeroporto internazionale di New York al rientro da Città del Messico dove stava ingaggiando assassini di un cartello di droga messicano per il complotto. La notizia sollevò ulteriori tensioni tra la famiglia reale sunnita che governa l’Arabia Saudita e il governo controllato dagli sciiti iraniani.

Nella sua base in Yemen, Shahlai sosteneva le forze sciite di Houthi che alleati con i militari fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh combattono dal 2015 contro le forze del governo di Hadi appoggiato dall’Arabia Saudita al quale gli Stati Uniti forniscono armi e supporto militare. L’anno scorso sia la Camera che il Senato statunitensi hanno approvato una risoluzione che chiedeva all’amministrazione Trump di porre fine a tutte le ostilità nello Yemen che non erano espressamente autorizzate dal Congresso. Ma Trump ha posto il veto alla risoluzione continuando il sostegno ai sauditi nello Yemen.

Il fallito tentativo di uccidere Shahlai, considerato fondamentale ufficiale militare dopo Soleimani, fa parte di una operazione più ampia di quanto in precedenza spiegato dall’amministrazione Trump. Mira a paralizzare la milizia di fede islamica e a prevenire imminenti attacchi agli americani. La notizia del secondo attentato sta sollevando ulteriori domande da parte dei membri del Parlamento americano sulle spiegazioni fornite dall’amministrazione Trump per l’uccisione di Soleimani e prove specifiche che indichino un’imminente minaccia.

Il Segretario di stato degli Stati Uniti Mike Pompeo, ha difeso la credibilità dell’intelligence affermando che era in possesso di informazioni specifiche in merito ad una minaccia imminente che comprendeva attacchi alle ambasciate statunitensi. Ma la mancanza di prove fornite al Congresso e al pubblico sta alimentando lo scettiscismo sul fatto che gli attacchi siano stati giustificati.

Per alcuni funzionari dell’amministrazione Trump, i recenti attacchi effettuati per mezzo dei droni, erano stati considerati rischiosi e possibili di avere l’effetto di incitare un conflitto più ampio con l’Iran che Trump ha sempre detto di non volere. Ma per gli alti ufficiali militari dell’esercito e dell’intelligence americana, sono significativi in quanto hanno danneggiato la capacità dell’Iran di dirigere le sue forze militari.