del consigliere nazionale Fabio Regazzi, presidente AITI
Come non prestare attenzione ad un’iniziativa che promette “abitazioni a prezzi più accessibili”, dal momento che l’affitto è una delle voci di spesa principali nei budget delle economie domestiche?
Sarebbe bello se, per risolvere il problema alla gran parte degli inquilini, bastasse un testo da approvare in votazione popolare per aumentare d’un colpo il reddito disponibile e ridurre sensibilmente i costi. Purtroppo, come lo è stato per diverse altre iniziative, non è così facile e dietro il titolo accattivante si nascondono insidie che, proprio e paradossalmente per gli inquilini, sono minacciose e controproducenti.
Prevedendo una rigida e fissa quota del 10% di costruzioni di pubblica utilità in tutta la Svizzera, si impongono simili costruzioni anche in zone in cui queste non hanno alcun senso – pensiamo alle regioni rurali e già oggi confrontate con uno sfitto importante – mentre non si tiene conto delle necessità nei grandi centri, questi sì confrontati con una situazione più tesa sul mercato immobiliare. A questa sfida l’iniziativa non trova soluzioni, dal momento che le grandi città svizzere hanno già stabilito la loro rispettiva politica dell’alloggio per mettere a disposizione abitazioni a prezzi accessibili. A Zurigo, il 27% degli appartamenti (altro che il 10%!) appartengono già a proprietari di utilità pubblica e la popolazione della città auspica che questa cifra raggiunga entro il 2050 il 33,3%. Insomma, con l’iniziativa depositata dalla sinistra, le abitazioni di pubblica utilità dovrebbero esser costruite in luogo di scarso interesse, mentre laddove vi è necessità la quota che prescrive il progetto in votazione è già ampiamente superata.
Il costo per questa soluzione “a pioggia” viene stimato dalla Confederazione in 120 milioni di franchi all’anno (!). A questo si aggiungono i costi di Cantoni e Comuni per i quali l’iniziativa prevede dei diritti di prelazione su terreni che si adatterebbero per la costruzione di immobili di pubblica utilità nel caso in cui questi, come sarà certamente il caso in diverse regioni, non fossero costruiti da committenti privati.
Addirittura paradossale invece è il divieto per i proprietari immobiliari di aumentare l’affitto in caso di risanamenti energetici degli edifici, sussidiati (anche in minima parte) da fondi pubblici. Le sovvenzioni coprono spesso una parte minoritaria di questi investimenti, mentre la gran parte della spesa resta a carico del proprietario: con questo ulteriore divieto le possibili conseguenze saranno verosimilmente due: o il proprietario non richiederà più alcun sussidio e riverserà l’intero investimento sull’aumento dell’affitto all’inquilino o, altrettanto grave, rinuncerà al risanamento energetico che altrimenti si rivela un costo netto per lui. Questa fattispecie, contraria agli sforzi per la protezione dell’ambiente, preoccupa molto anche il fronte dei Verdi liberali che in modo compatto si oppone a questa assurdità.
Chi ritiene che occorra un gesto concreto e mirato a favore di persone in difficoltà nell’affrontare la spesa dell’affitto ha la soluzione a portata di mano: votare NO all’iniziativa equivale infatti a stanziare automaticamente 250 milioni quale contributo supplementare destinato alla costruzione di ulteriori abitazioni di utilità pubblica per i prossimi 10 anni. Si tratta di un controprogetto voluto dallo stesso Parlamento e dal Consiglio federale, il quale – supportato in modo compatto da UDC, PLR, PPD e dai Verdi liberali – raccomanda di rifiutare questa iniziativa rigida, iniqua e inefficace.