La Resurrezione di Gesù Cristo, secondo i Vangeli Canonici

Domenica di Pasqua di Resurrezione. Quasi duemila anni or sono, il sepolcro di Gesù venne trovato vuoto: Egli era risorto, secondo le scritture. Chi furono coloro a trovare, per primi, il sepolcro vuoto? Come poterono dire che Gesù era risorto? Poiché anche i discepoli, sulle prime, dubitarono. Presentiamo oggi questo pezzo, sui racconti dei quattro evangelisti coevi a Gesù Cristo (senza nulla togliere ad alcuni apocrifi altrettanto cronologicamente coevi a Cristo; per ora, però, ci concentreremo sui sinottici e su Giovanni).    

La narrazione della scoperta del sepolcro vuoto e della resurrezione di Cristo coincide generalmente in tutti e quattro i racconti, eccezion fatta per lievi discrepanze. Vediamo entrambi insieme.

Matteo e Marco concordano sul fatto che le prime a trovare il sepolcro vuoto siano state Maria Maddalena e Maria (su quest’ultima: per Matteo ella è di Cleofa, per Marco ella è “madre di Giacomo e Salome”); sul fatto che l’angelo sia un giovane dalle vesti candide, “il suo aspetto era come la folgore e le sue vesti bianche come la neve” (Mt28,4) e “se ne stava seduto a destra, rivestito di una veste bianca” (Mc 16, 5), e sia uno solo. Per entrambi gli evangelisti l’immane pietra viene spostata dal sepolcro, solo che per Matteo rotola via davanti ai loro occhi, per Marco, invece, è già spostata. La differenza è insita nella narrazione dell’anagnorisis, ovvero del riconoscimento, da parte dei discepoli e delle donne, di Cristo Risorto. Scrive Matteo: “Gesù andò loro incontro e disse: “ rallegratevi! Esse, avvicinatesi, abbracciarono i suoi piedi e l’adorarono.” Scrive invece Marco che egli appare a Maddalena e viene da lei riconosciuto, ma i discepoli non le credono. Allora “apparve sotto altra forma a due di loro […] anche questi tornarono indietro per annunciarlo agli altri, ma anche a questi non credettero. Finalmente apparve agli Undici stessi mentre erano a tavola e li rimproverò della loro incredulità.” (Mc 16, 9 – 14).

Luca e Giovanni invece concordano sul fatto che al sepolcro si recano Maria Maddalena (su di lei concordano tutti e quattro) e Pietro. Luca, però, riporta che con Maddalena e Pietro vi è anche una certa Giovanna, oltre a Maria di Giacomo (Luca concorda qui con Marco); secondo Giovanni invece, oltre a Maddalena e Pietro vi è Giovanni, ovvero l’autore del vangelo stesso, ovvero “il discepolo che Gesù amava”. Potrebbe la Giovanna di Luca essere un errore di trascrizione e, quindi, essere Giovanni, l’evangelista, il discepolo? D’altronde è nota la concezione per cui il vangelo di Giovanni non sarebbe stato scritto direttamente da Giovanni, bensì da una comunità di suoi discepoli, ma leggendolo attentamente si discopre come i fatti siano narrati con fervore da una persona che vi ha realmente assistito, quindi perché negare che il Giovanni discepolo sia la stessa persona dell’Evangelista? Luca e Giovanni concordano poi (discordando da Matteo e Luca) sul  numero di angeli presenti al sepolcro, che annunciarono agli astanti che Cristo era Risorto: gli angeli, per entrambi, sono due,   “apparvero loro due uomini, con vesti splendenti”, (Lc 24, 4), “due angeli biancovestiti, seduti: uno in corrispondenza del capo, l’altro dei piedi dove era stato posto il corpo di Gesù”. Sia per Luca che per Giovanni (sia, d’altronde, per Marco), Gesù appare loro in altra forma, poiché essi non lo riconoscono. Specificamente: in Luca Pietro e le donne ricevono la notizia che Gesù sia risorto solo dai due angeli; lo stesso giorno Gesù appare ai discepoli che si trovano ad Emmaus, chiedendo loro perché piangano ed essi, non riconoscendolo, gli rispondono di aver perso le speranze che il loro maestro, condannato, sia risorto. Egli risponde loro citando la profezia del Cristo che sarebbe risorto, ma essi persistono nel non riconoscerlo, però, lo invitano a restare da loro per la cena. A tavola egli li benedice e solo allora lo riconoscono:” mentre si trovava a tavola con loro prese il pane, pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo distribuì a loro. Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero.”  (Lc, 24,30-31). Così mostra a loro le ferite, li incita a toccarle con mano (solo in Giovanni appare l’incredulo Tommaso); appare successivamente a loro un’altra volta, mangia del pesce arrostito, poi dopo aver profetizzato, ascende al Cielo. (Lc, 24, 36 – 50) In Giovanni, invece,   i due angeli parlano direttamente alla Maddalena, la quale piange. Allora le appare Gesù ed ella lo scambia per l’ortolano (Gv.20, 15). Egli la chiama per nome (“Maria!”) e solo allora ella lo riconosce, correndo ad annunciare ai discepoli. In seguito Gesù appare tre volte ai discepoli: la prima volta sta in mezzo a lor e li benedice, infondendo su di loro lo Spirito Santo (Gv. 20, 20 -24); la seconda, otto giorni dopo, appare per apostrofare Tommaso (“perché mi hai visto mi hai creduto? Beati coloro che hanno creduto senza vedere! Gv. 20, 28), la terza, infine, sul mare di Tiberiade e anche qui non è riconosciuto: egli sale sulla barca scevra di pesca, e i discepoli pescano molti pesci: …”nessuno però dei discepoli osava domandargli ’Tu, chi sei?? Sapendo che era il Signore”. Dopo a questa apparizione è il celebre dialogo con Pietro e Giovanni, nel quale Gesù chiede al primo, tratto a sé, se lo ami per tre volte, per profetizzargli poi il martirio e la diffusione della Sua Parola. Pietro gli chiede di Giovanni e Giovanni, che se ne sta in disparte, sente Gesù dire a Pietro, in riferimento a lui: “se io voglio che lui rimanga finché io venga, che te ne importa?” anche da queste parole esce densa di mistero e al contempo di significato la figura di Giovanni, l’ultimo evangelista, il discepolo più amato di Gesù, il narratore del Logos immanente nel mondo e incarnatosi in Cristo, il filosofo, che curiosamente, sin dall’inizio parla del suo omonimo, Giovanni il Battista. A Giovanni apparterrebbero anche l’Apocalisse e le tre lettere pastorali, incluse nel canone neo testamentario ma, in riferimento a questa figura indissolubilmente legata al mistero e alla santità, parlerò specificatamente in un altro articolo.

Per ora, in occasione della Pasqua, ci tenevo a rendere fruibile la sinossi tra i Vangeli (curiosamente chiamati già, di per sé, sinottici, di Marco, Matteo e Luca, i quali, pur essendo così chiamati, non coincidono perfettamente), e il Vangelo del Logos, quello di Giovanni.

Mi piacerebbe leggere il Diatessaron di Taziano, una sinossi del II sec d.C, che appunto rese un unico racconto le quattro versioni dei quattro vangeli; e quando lo farò, non mancherò di aggiornare questo articolo.

Se non fossimo in quarantena e potessi avere accesso ai miei libri (che sono in un’altra casa) leggerei i vangeli apocrifi, per trarre da essi la medesima analisi quivi riportata sulla Resurrezione.

Vorrei riportare anche una notizia forse superflua: il canone neotestamentario (ovvero i 27 libri riconosciuti dalla Chiesa), divenne tale solo dopo molti concìli e quando il cristianesimo era ormai coniugato all’Impero romano. Nei primi secoli del cristianesimo non si leggeva il vangelo così come lo intendiamo noi: c’erano comunità che avevano un manoscritto es. di Luca, altri di es. Giovanni; oggi si tende a vedere nel vangelo di Marco il più antico, confluente in quelli di Matteo e Luca, i quali, però hanno notizie (ovvero i discorsi di Gesù, in greco loghia) che Marco non contiene. I filologi ipotizzarono così l’esistenza di una fonte “altra”, chiamata Q, che era confluita in Matteo e Luca (ma non in Marco). La scoperta, nel 1947, a Nag Hammadi, del Vangelo di Tommaso (apocrifo), composto, per l’appunto, da loghia, ha rafforzato l’ipotesi della fonte Q contenente i loghia confluiti, lo si poté dire, in Matteo, Luca e, quindi, nell’apocrifo Tommaso. Il vangelo di Giovanni, invece, pur combaciando nei punti trattati (e non solo) con gli altri, ha un’impostazione a sé, quella greca, del Logos.

Una cosa è certa: Gesù pose un dogma che cambiò la storia dell’umanità. La sua Resurrezione è un atto di fede, è un messaggio fortissimo di speranza, come mai ve n’erano stati prima. Leggendo il vangelo “nudo e crudo”, anche senza intenti teologici o dottrinali, personalmente ritengo che emerga l’intento, irruente e spontaneo, da parte di uomini vissuti duemila anni or sono, che furono testimoni oculari di vicende straordinarie, di trasmettere quello a cui essi assistettero. Erano le profezie che si adempivano, era il corso della Bibbia che mutava, con l’intervento di Dio tra gli uomini, era la Storia che cambiava per sempre. 

Scrisse San Tommaso d’Aquino:

Sebbene “la fede” abbia per oggetto cose invisibili all’uomo, tuttavia essa non implica la conoscenza di ciò che si crede: ma solo che l’uomo dia l’assenso certo a cose conosciute da altri.

Fides autem etsi sit de invisibilibus homini, tamen ad ipsam non pertinet eorum cognitio quae creduntur, sed quod homo per certitudinem assentiat his quae sunt ab aliis cognita. ST, IIª-IIae, q. 171 a. 3 ad 2

Chantal Fantuzzi