La lira libanese è crollata e la crisi economica sta mettendo in ginocchio il Paese anche dal punto di vista sanitario e ambientale: quella che è stata definita la peggior crisi degli ultimi trent’anni, sta creando, in Libano, una spirale sempre più drammatica di povertà, disoccupazione, suicidi.

Protesta in Libano foto da Wikicommons

Da mesi la popolazione libanese, nel silenzio mediatico quasi totale, scende in campo per protestare contro “una classe politica corrotta e incapace di rinnovarsi” come dicono alcuni portavoce dei protestanti.

Dall’anno scorso, infatti, il governo avrebbe attuato delle tasse (delle vere e proprie “corvarie”) su WhatsApp, tabacco e benzina: tutto ciò avrebbe fatto esplodere le rivolte nel Paese, nonostante si trattasse, chiaramente, solo di un pretesto, una “goccia” che avrebbe fatto traboccare il proverbiale vaso.

Con un debito pubblico del 150% del PIL e un salario medio rapportato inferiore ai 300 euro mensili, le condizioni del popolo hanno provocato proteste anche molto violente che hanno indotto il premier Saad Hariri a dimettersi: il governo uscente però, non ne ha formato uno nuovo, il rifiuto di Saah Hariri è stato chiaramente motivato, consistendo nel non volere impersonare un governo che “non sa dare voce al popolo”.

Il nuovo governo insediatosi a gennaio scorso, guidato da Hassan Diab, non è stato in grado né di spegnere la rabbia popolare né di rinnovare la situazione economica. Il rischio che la guerra civile si propaghi anche oltre i confini libanesi è abbastanza alto: il Paese non riesce a importare il grano e altri beni di prima necessità, il prezzo del pane è più che raddoppiato nell’ultimo anno. Il tasso di suicidi in Libano continua a crescere-