Il tribunale elettorale supremo della Bolivia aveva stabilito con sentenza a febbraio, di non ammettere la candidatura dell’ex presidente 60enne Evo Morales nelle elezioni politiche, in quanto vivendo in esilio in Argentina non soddisfaceva il fondamentale requisito di residenza per le votazioni politiche. Queste erano inizialmente previste per maggio, ma sono state poi ritardate ad ottobre per via della pandemia di coronavirus.

Morales, giustificandosi che viveva in Argentina non per sua scelta ma per motivi di sicurezza personale e sostenendo che era ancora registrato ufficialmente in Bolivia, aveva presentato appello alla Corte costituzionale di La Paz sperando di ribaltare la decisione del tribunale elettorale in modo da potersi presentare come candidato per la regione di Cochabamba, luogo dove era emerso come leader politico per il Movimento per il socialismo (MAS) decenni fa. Ma la Corte costituzionale lunedì ha in sostanza confermato le motivazioni del precedente tribunale non ritenendolo idoneo a candidarsi per una posizione al Senato.

In un tweet, Morales ha detto che non avrebbe presentato ricorso e che avrebbe rispettato la decisione che lo esclude dalle prossime elezioni, anche se aveva affermato in precedenza, che i tribunali stavano operando sotto minacce e pressioni e sarebbe stata una sentenza politica. La decisione di quest’ultimo tribunale non può essere impugnata.

Presidente dal 2006 al 2019 dopo aver vinto tre elezioni consecutive, Morales fu costretto dai militari a dimettersi a novembre dopo aver corso per il quarto mandato consecutivo, a causa delle forti proteste e disordini che si erano diffusi in tutto il paese per l’avvenuta fraudolenta rielezione. Nelle elezioni del 2019, infatti, il conteggio dei voti era stato interrotto per 24 ore provocando da parte dei cittadini le accuse di brogli elettorali. Morales se ne andò prima in Messico dichiarando che andava via perché temeva che la sua vita fosse in pericolo, e poi si trasferì in Argentina. La sentenza di ieri elimina definitivamente la possibilità per l’ex presidente boliviano di ottenere l’immunità parlamentare contro le accuse di violazione dei diritti umani, detenzioni e minacce avvenute durante la rivolta dei manifestanti che protestavano a favore della sua cacciata. La crisi post-elettorale causò almeno 35 morti e oltre 800 feriti.

Senza mandato elettorale, e dopo che diverse persone in linea di successione si sono fatte da parte, il 12 novembre 2019 è diventata presidente ad interim fino alle prossime elezioni che si terranno il 18 ottobre, la senatrice conservatrice Jeanine Añez Chavez appartenente ad un partito di centro-destra in precedenza all’opposizione. Rivendicando la piena presidenza, l’amministrazione della Añez Chavez sta cercando di invertire molte delle politiche di sinistra e le alleanze straniere strette in precedenza da Morales.