È stato ripreso ieri il processo in Corte d’appello per il delitto di Monte Carasso. Nell’aprile dello scorso anno una donna di 39 anni era stata condannata al carcere a vita per aver istigato il suo compagno a uccidere l’ex moglie di lui. Il delitto si era poi effettivamente consumato e la Corte delle Assise criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta aveva giudicato la donna, cittadina russa residente in Svizzera, responsabile ancor più del compagno che aveva effettivamente compiuto il gesto. Quest’ultimo infatti è stato condannato a 16 anni di carcere.

Ora il processo in Appello si è riaperto a Giubiasco, dopo un’interruzione di un paio di settimane. Lo scorso 9 settembre infatti il processo era stato rimandato causa di alcuni presunte imprecisioni nelle traduzioni delle domande degli interrogatori. L’imputata inoltre sosteneva che la traduttrice le suggerisse delle risposte, fuorviandola.

La procuratrice pubblica Chiara Borelli ha fatto notare ieri però che: “In nessun punto di questi tre verbali c’è un momento in cui l’interprete impone alla signora una risposta. In linea di massima la traduzione è corretta, ci sono stati dei punti in cui l’interprete non ha tradotto, in particolar modo durante un verbale di confronto non traduceva le domande dell’avvocato Ravi. Non so il motivo per cui non l’abbia fatto, forse per stanchezza o disattenzione. Ma anche la perita italiana non è stata fedele nelle trascrizioni delle parti in italiano, non riportava l’integrale passaggio della conversazione”.

La pp chiede ancora che alla donna, considerata la mente del delitto, venga infitta la pena massima. Dietro alle motivazioni che l’avrebbero spinta ad agire in questo modo la voglia di uscire dalle difficoltà finanziaria, causata anche dai 3mila franchi che l’uomo doveva versare all’ex consorte come alimenti. La tesi sarebbe sostenuta da numerosi messaggi che lei e il compagno si sarebbero scambiati. “In Russia troveremmo un sicario” è l’agghiacciante contenuto   di uno degli sms.

Nel corso del primo processo la difesa, rappresentata dai legali Yasar Ravi e Luisa Polli, aveva chiesto “l’integrale proscioglimento della donna dall’accusa di correità in assassinio” facendo leva sulla mancanza di credibilità dell’assassino. Oggi, durante il processo che per motivi di coronavirus sta avvenendo a porte chiuse, la parola è passata alla difesa. Seguono aggiornamenti.