Le proteste anti-covid sono certamente un emblema del dissidio che lacera, in questi giorni, l’Italia. I contagi salgono, anche e soprattutto a causa dell’incoscienza delle persone che durante l’estate e i primi mesi dell’autunno hanno mantenuto un comportamento scorretto, come abbassarsi la mascherina (o, peggio, non portarla nemmeno nei luoghi chiusi) e creare assembramenti durante la movida.

Tornare al lockdown oggi, tuttavia, sarebbe un disastro per l’Italia intera. L’economia delle piccole e medie imprese, già fortemente provate, si bloccherebbe del tutto, per non parlare dell’istruzione, che già di per sé va a rotoli.

Così, da Napoli a Torino, da Trieste a Vicenza, da Roma a Milano, in tutt’Italia si sono scatenate proteste di cittadini che dicono “no” a un nuovo lockdown (è già diventata celebre la foto di una bambina con un cartello con su scritto “riaprite il locale di papà”). Certamente, è facile prendere decisioni con stipendi da 15 mila euro al mese, per umili cittadini con miseri stipendi ma, al di là della retorica, al di là delle (pressoché impossibili e sperate) decurtazioni degli stipendi da parte dei parlamentari, le proteste si sono attuate. E sono degenerate.

C’è chi ipotizza che dietro di esse ci sia la mano di associazioni mafiose, mentre è palese che in certi casi degeneri la politica c’entri, eccome: dai neofascisti ai centri sociali di estrema sinistra, da nord a sud sono state infrante vetrine di negozi di lusso, tirate bombe carta e molotov contro gli agenti. Un chiaro segno di protesta, non solo anti lockdown, ma anche e soprattutto anti classista.

Giovani e giovanissimi scellerati hanno cavalcato l’onda delle proteste di gente che, con normali mascherine, imploravano di non morir di fame, per vandalizzare auto, biciclette, negozi, e chi più ne ha più ne metta.

L’anarchia che cavalca l’onda del dissenso. Ed è un vero peccato perché, ogni volta che il popolo si fa “sovrano” per lavorare, deve, per forza, lasciare che la sua legittima voce di protesta sia soggiogata da facinorosi anarchici, che un lavoro non se lo sono mai procurati.