The Heart of the Empire, Niels Moeller Lund 1904 – Wiki commons (Stephencdickson) – https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0/deed.en

The long and winding road, così sembra essere, la difficile strada dei negoziati Brexit, parafrasando le parole dei Beatles. Ma la drammatizzazione dello stallo, fa parte di ogni end game negoziale. Il risultato è quasi scontato. I mercati hanno già scommesso su un compromesso dell’ultima ora, basti vedere l’apprezzamento della sterlina. Ma l’economia del Regno Unito, sta uscendo a pezzi, dall’epidemia di Covid19 e questo mette Boris Johnson, in una condizione di svantaggio.

Secondo le statistiche inglesi, solo il Grande Gelo del 1709, ebbe un impatto così devastante sull’economia del Regno Unito. I toni duri dei giorni passati, usati dal Premier inglese contro Bruxelles, sono sempre stati diretti, in realtà, ai suoi elettori. Boris Johnson sa, purtroppo, che dovrà rimangiarsi molte delle promesse fatte durante le elezioni. Ma le prospettive d’incertezza che deriverebbero da un no deal, sarebbero molto più dannose di un compromesso al ribasso, per il solo fatto che i capitali e gli investimenti, non amano le situazioni di incertezza e di sfiducia.

In tutta questa storia, non ci sono solo gli interessi dei pescatori inglesi della Manica che contendono i molluschi ai bretoni, ma vi è anche quello, ben più importante, ma taciuto, degli interessi della City, che aspira ad ottenere il passaporto dei servizi finanziari nell’Unione Europea, per un tempo indefinito e non solo per i 18 mesi di proroga concessi provvisioramente (e tacitamente) da Bruxelles. I servizi finanziari, che rappresentando la fetta più grossa del pil inglese, per la loro impopolarità, non hanno mai fatto parte dei negoziati brexit. E la City is big and smart enough to look after itself, come avrebbe detto il capo della CityUk, (la Confindustria finanziaria londinese), Miles Celic. Ma i politici inglesi sanno bene, quanto i servizi finanziari e le banche contribuiscano all’erario. Si parla di un 10% delle imposte totali, per un contributo di circa 75 miliardi di euro, secondo l’Economist.

Ma la City e la finanza europea, sono strettamente legate tra loro. L’80% delle operazioni in euro, su molti strumenti finanziari, tra cui i derivati, sono trattate sul mercato di Londra, attraverso le Clearing Houses (camere di compensazione). Esse risalgono alla fine del’700 e si inseriscono nelle contrattazioni tra banche e istituzioni finanziarie, per ridurre i rischi nelle compravendite di titoli, aggregando le transazioni tra le due parti, per definire, con un unico saldo, le loro posizioni di dare e avere. Garantendo quindi, il buon funzionamento dei mercati. Londra ospita le quattro maggiori Clearing Houses del continente: Lhc, Ice, Cme ed Euroccp, che muovono da sole, un volume di circa 126mila miliardi di euro l’anno.

Per le banche europee, sarebbe quindi difficile fare a meno di Londra. Agitare lo spettro della mancata equivalenza finanziaria, non servirebbe a nulla, perché colpirebbe entrambe le parti. Una sorta di Pax Brittanica finanziaria garantisce oggi, tacitamente, i rapporti di convenienza, tra Regno Unito e Unione Europea. Ma anche i giganti bancari di Wall Street, come JP Morgan Chase , Goldman Sachs e Morgan Stanley, pur avendo spostato una piccola parte del loro staff europeo verso Francoforte, esitano a trasferire i loro assets verso la platea frammentata delle capitali europee, a causa delle diverse lingue e legislazioni. L’ambiente non è lo stesso. Londra è business minded, garantisce una legislazione chiara, una burocrazia snella, competenze legali e fiscali, che nessun’altra capitale europea sarebbe in grado di offrire. E’ una questione di mentalità.

Nella galleria d’arte del Guildhall, il palazzo del governatorato della City (una città nella città), vi è un quadro significativo, della fiorente Londra dei primi del novecento, che raffigura il palazzo della Borsa e sullo sfondo, la Saint Paul Cathedral, simbolo della rinascita, dopo il terribile incendio del 1666, in un brulicare di persone, dal titolo The Heart of the Empire.

Londra, fu la prima capitale finanziaria del mondo, ben prima di New York, con un Impero commerciale che spaziava dal Nord America all’Asia. In Inghilterra ebbero inizio le prime due Rivoluzioni industriali, quella meccanica e quella dei trasporti e delle comunicazioni. E l’epoca Vittoriana, sancì la gloria del British Rule. Non è un caso che sulla scrivania di Angela Merkel, sia presente un ritratto della regina Vittoria.

La Germania aspira a divenire quello che fu, l’Impero commerciale inglese, non con la guerra appunto, ma con una sorta di pax germanica, fatta di concorrenza commerciale e dominio dell’economia sulla politica. Le trattative di Bruxelles celano in realtà una guerra per procura, tra giochi di convenienza e vantaggi economici sottratti alla controparte. Ora l’Inghilterra è in difficoltà, ma sarà difficile cambiare la mente e le parole dell’economia e della finanza. Londra, rimarrà sempre più smart.

Friedrich Magnani