Abbiamo ricevuto questo testo, articolato e interessante, tre giorni fa ma solo oggi siamo in grado di pubblicarlo, accompagnandolo con qualche parola di commento. Il testo verosimilmente è stato redatto da un avvocato vicino al partito (o da un team).

“Lungi dall’essere passivo e super partes” il procuratore pubblico è essenzialmente attivo: “non è quindi un organo imparziale né la sua legittimazione dipende dall’apparire tale”. E ancora: le scelte nell’azione penale “proprio per il loro grande rilievo politico derivano dai rapporti di forza, non da ultimi quelli parlamentari”. 

L’unico commento che si può fare di fronte a una simile imbarazzante quanto spettacolare citazione è la seguente: “un indagato speri ardentemente di trovarsi dalla parte giusta!”.

Quanto poi al notissimo “casus belli” (lo diamo per scontato). Le “indecorose fughe di notizie” – nessuno ne conosce i responsabili – lungi dall’essere state pregiudizievoli ai “bocciati”, hanno in realtà significato la loro salvezza, scatenando una violenta bagarre che si è risolta a loro favore. Il Consiglio della Magistratura ha tentato di escludere (per ragioni che riteneva valide) cinque procuratori ma ha fallito miseramente nell’impresa. La politica ha sfoderato i suoi artigli e ha dimostrato che il potere della giustizia… è in sostanza il potere della politica.

Noi abbiamo maggiore rispetto per la posizione del PLR, anche se ha perso. Come diceva il barone De Coubertin: l’importante è partecipare.

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1. Come ogni istituzione in una società capitalista, anche nella magistratura ticinese vi sono contraddizioni di classe e interessi di potere contrapposti. Sarebbe ingenuo pensare ad essa come ad un ambiente asettico e ideologicamente neutrale. Pur di fronte a queste contraddizioni di potere, la credibilità del sistema giudiziario assume una valenza particolarmente importante per la tenuta stessa di quelle garanzie di agibilità democratica del sistema che ci riguardano anche in quanto forza politica di opposizione. Soprattutto in questa fase storica, peraltro, non si affrontano tali contraddizioni fomentando sentimenti neo-qualunquisti di anti-politica: la politica infatti c’è comunque sempre, anche quando lo si nega.

2. Sarebbe dunque illusorio credere che le ideologie e gli interessi di classe possano sparire magicamente da Palazzo di Giustizia togliendo di mezzo i partiti: in questo momento, più che una pretesa indipendenza del Ministero pubblico (MP), assume carattere prioritario lavorare per un sistema ancora più equo e, soprattutto, plurale fra le varie sensibilità politico-culturali e democraticamente legittimato. I procuratori pubblici, infatti, non vanno confusi con i giudici: come spiegava Giuseppe Di Federico, professore emerito di ordinamento giudiziario all’Università di Bologna, “lungi dall’essere passivo e super partes” il procuratore pubblico è essenzialmente attivo: “non è quindi un organo imparziale né la sua legittimazione dipende dall’apparire tale”. Il compito di reprimere i fenomeni criminosi si esercita infatti compiendo delle scelte nell’azione penale, che “proprio per il loro grande rilievo politico” (le priorità da seguire, l’effettivo interesse pubblico, ecc.) derivano dai rapporti di forza, non da ultimi quelli parlamentari: ovvero, per usare le parole del succitato giurista, esse sorgono “nell’ambito del processo democratico, e sono vincolanti”.

3. L’idea di una riforma nel senso di un autogoverno dei magistrati, lungi dalle sparate populiste, merita, per contro, un’ampia e approfondita discussione, consci che il modello italiano proposto non è affatto esente da problemi. Nell’ambito di una riforma del settore occorrerà poi valutare una maggiore divisione fra attività inquirente e giudicante, la creazione di percorsi formativi specializzati per l’attività di magistrato, oltre che l’aumento delle risorse e il potenziamento dell’organico al fine di impedire una “strozzatura a imbuto”, l’intasamento cioè dell’intera giustizia a seguito del cospicuo numero di vertenze aperte.

4. I Partiti – tutti, ma soprattutto quelli al governo – devono quindi porsi qualche domanda circa la selezione interna sia del proprio personale politico (il “gruppo dirigente” per dirla con Palmiro Togliatti), sia di quello che si propone per cariche istituzionali elettive, come appunto quelle in ambito giudiziario, per il quale occorre sì cultura politica (e tanta!) ma da intendersi evidentemente come senso dello Stato. I partiti devono insomma riscoprire e valorizzare un processo meritocratico al proprio interno, rispondendo così al mandato costituzionale di formazione dell’opinione e della volontà popolare (e non viceversa!): l’attacco ai partiti oggi in corso anche attraverso l’estrema sinistra trotzkista e il potere dei media è funzionale al grande capitale e all’ordinamento neoliberista che privilegia una società liquida da manipolare a proprio piacimento, senza quei filtri critici che solo corpi organizzati (e dunque capaci di resistenza e di egemonia, per dirla con Antonio Gramsci) rappresentano.

5. Le indecorose fughe di notizie sul caso dei cinque procuratori pubblici preavvisati negativamente nel settembre 2020 in vista del voto sul rinnovo decennale delle cariche, hanno avuto il duplice scopo di mettere la politica di fronte al fatto compiuto (mancando di rispetto così al parlamento democraticamente eletto che è autorità di vigilanza e di nomina) e – nel contempo – di denigrare la professionalità di procuratori pubblici (stranamente appartenenti tutti a partiti diversi) senza permettere loro nemmeno di difendersi adeguatamente e contravvenendo in questo modo ai loro diritti costituzionali. Eventuali problemi sul piano delle competenze, della professionalità e dell’attitudine vanno insomma affrontati con richiami formali (basati però su fatti regolarmente contestati ai diretti interessati) e con le opportune modalità (anche sanzionatorie) ma senza tentativi di licenziamento in tronco sulla base di opinioni, che altro non fanno che infondere sfiducia nei confronti dell’intera giustizia.

6. Il Gran Consiglio, attraverso la sua Commissione Giustizia e Diritti (CGD), con il rapporto del 30 novembre 2020 (link) ha tentato di sanare i vizi formali e procedurali commessi dal Consiglio della Magistratura (CM) e rilevati anche dalla perizia (che auspichiamo sia resa pubblica) del prof. Claude Rouiller (già presidente del Tribunale federale e del Tribunale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro), i quali si sarebbero risolti in ricorsi da parte dei procuratori pubblici eventualmente destituiti, che la massima Corte avrebbe verosimilmente accolto invalidando in questo modo ogni decisione dello stesso Parlamento ticinese e azzoppando così il Ministero Pubblico. Alla luce di ciò chi oggi banalizza la perizia del citato giudice emerito semplicemente non l’ha letta oppure simpatizza per i liberali! La critica alla CGD è legittima – non a caso tutti i commissari di sinistra hanno firmato il rapporto con riserva – e tuttavia chi oggi insiste su questa linea chiude di fatto gli occhi sui gravi errori del CM e difende l’egemonia di un partito facendo però credere di essere contro la partitocrazia.

7. Appare infine chiaro da questa vicenda che, a monte, sussistano però problemi di carattere istituzionale riconducibili non solo a un insufficiente disciplinamento delle modalità procedurali (come quelle di nomina), ma anche alla scarsa chiarezza delle funzioni assegnate allo stesso CM. Rileviamo quindi con favore a questo proposito, la decisione dello scorso 14 dicembre 2020 del parlamento ticinese di approvare la Risoluzione generale (link) avanzata dalla CGD, con l’auspicio che possa rappresentare un primo passo verso un miglioramento operativo del MP.

Partito Comunista