Umberto Boccioni, “Officine a Porta Romana”, 1910 – Wikimedia commons (Sailko) – https://creativecommons.org/licenses/by/3.0/deed.en

2021

Milano è sempre in movimento e ritorna al futuro partendo dai suoi scali ferroviari. Anche tra l’arancione ed il rosso assegnati durante questa folle pandemia, Milano, nella vicina Italia, sta vivendo un periodo di fermento incredibile nonostante il lockdown. Solo più surreale. Dal 2016 si sono svolti infatti regolarmente incontri sugli scali ferroviari di Milano, che come “punti cardinali” della città, la stanno completamente disegnando oramai da alcuni decenni.

Poeticamente parlando, immaginare gli scali ferroviari come punti cardinali di un disegno per “ridisegnare” il futuro di una città come la metropoli milanese, è affascinante perché rimanda a capolavori tra il divisionismo e futurismo, in primis quelli di Boccioni. Vederne il corso delle scelte ed avvenimenti, non è certo altrettanto poetico, ma sicuramente interessante.

L’immaginazione di questo progetto sugli scali, infatti, coinvolge un po’ tutti: istituzioni locali, la cittadinanza attiva ed il mondo delle università da molti anni. Come si diceva, dal 2016 sono stati creati ben cinque gruppi di lavoro, capitanati da architetti famosi e riconosciuti a livello mondiale, sviluppando idee e progetti coinvolgendo dei “tavoli tematici attivi” composti da persone non solo preparate, ma vere e proprie eccellenze e fortemente interessate a ridisegnare per i cittadini, i turisti, i manager e le persone semplicemente in visita alla città, un volto nuovo dell’unica “metropoli” italiana.

I temi, dalla progettazione all’interconnessione tra le diverse aree, ha portato approfondimenti specifici molto discussi negli anni. In particolare quelli sulle zone verdi e la decisione di creare una edilizia “sociale” , non da tutti compresa.

Dopo Expo 2015 , ecco la vittoria di Milano per i prossimi XXV Giochi olimpici invernali che si terranno dal 6 al 22 febbraio 2026 proprio tra Milano e Cortina d’Ampezzo e che ha portato ad un vero e proprio “cantiere a cielo aperto” in questo ultimo mese. In particolare l’immensa area a sud della città e vicinissima al centro, dove già da qualche anno Fondazione Prada ed altri gruppi noti non solo del settore moda, avevano trasferito il loro quartier generale.

Tra gli esiti di un confronto durato anni su attese, esigenze e desideri dei soggetti locali sempre più accesso, delibere, benchmarking sulla rigenerazione delle aree dismesse, risvolti economici e prospettive europee, Milano , complice anche la pandemia, ora è passata quindi ai fatti. Le demolizioni e i lavori sono cominciati, grazie anche alle recenti gare di appalto. Per esempio, la gara con cui, in una procedura pubblica seguita da Mediobanca, si sono aggiudicati i lavori i partecipanti al “Fondo Porta Romana” dello Scalo Romana. E’ infatti del mese scorso la notizia che le FS Italiane hanno aggiudicato l’ex scalo ferroviario di Porta Romana per una cifra di circa 180 milioni di euro al Fondo Porta Romana (ovvero i gruppi Coima, Convivio, Prada Holding).

Mentre la pandemia ha chiuso tutti in casa, fuori ha aperto cantieri dove ruspe, ingegneri, operai e maestranze varie, sotto la neve o sotto il sole, compiono il tipico “miracolo a Milano”: essere la capitale “morale” d’Italia, perché sa reagire trasformandosi secondo esigenza.

Milano non si rassegna. Anzi, guarda avanti, a viso scoperto, senza nascondersi. Se la maggior parte dell’Italia insomma, di fronte alla pandemia ha reagito con un’accentuata e, forse, incontrollata rassegnazione del “passerà”, Milano ha sostituito la normale preoccupazione con il desiderio di affrontarla portando avanti qualcosa di ancor più complesso: cambiare quasi “sottotono” ma profondamente, il volto della propria urbanistica, progettando spazi di vita urbana del tutto nuovi ed inediti, portando avanti progetti sugli scali in modo deciso e concreto e, come si evince dal progetto degli Scali di Milano nel complesso e su Scalo Romana; in particolare, non sospendendone i lavori, ma addirittura accelerandoli, innescando una sorta di “marcia in più” dove l’incontrollata eccitazione dovuta alla paura della pandemia ha fatto posto a nuovi business e progettualità, generando linfa vitale dove il virus sparge morte.

Sfide, problemi contro opportunità, progetti che cambieranno profondamente interi quartieri. La zona sud di Milano attorno allo scalo Romana diventa cantiere ma non in modo ansioso, non come un pericolo letale per i suoi abitanti. Lo scalo di Porta Romana evoca una storia di “punto sociale” profonda, “di fermata strategica”; tra piani di vita cittadina, di passaggio di pendolari e tessuto sociale un po’ retrò questa zona è sempre stata scelta da attori, cantanti per condurre una vita “normale”, vicinissima al centro, ma periferica, ben esemplificato dal suo cavalcavia.

Il cavalcavia che da cerniera sociale del secolo scorso, negli ultimi anni di (voluto?) abbandono si è trasformato in una sorta di passaggio obbligato per tanti disperati. Il cavalcavia. Il simbolo di questo processo. Con le casette dei ferrovieri sotto, prima che venissero abbattute insieme alle file dei magazzini di inizio secolo. Dove trovavano spesso riparo disperati di ogni etnia. Il cavalcavia a lato della strada. Dove anche prima dell’arrivo degli immigrati degli ultimi anni, c’erano i vagoni ferroviari depositati nello scalo, nel tempo in cui tra i pochi treni in passaggio (ora la linea è servita dal passante ferroviario) ancora c’era il treno che andava a Lourdes che strideva la notte, con i cori notturni degli ubriachi per riscaldarsi dal freddo, i quali, scappati come potevano, molti fuggiti dalla guerra nella ex jugoslavia, trovavano riparo nei convogli e nei vagoni (alcuni sigillati per l’amianto).

Il cavalcavia. Il simbolo di questo cambiamento a cui Milano si abituerà presto. Dove Scalo Romana da uno scalo merci vicinissimo al centro (fu inaugurato nel 1891 insieme all’apertura della nuova viabilità nella zona sud di Milano e dista qualche fermata di metropolitana dal Duomo). Dove la stazione passeggeri, inaugurata nel 1931, ambierà presto volto. Dove gli anziani che abitavano il quartiere fanno posto anche ai “nuovi” giovani modaioli e coppie di professionisti che ultimamente si sono trasferiti. Sarà quindi divertente per molti, a fine lavori, visitare questa parte di Milano colorata e vissuta in modo del tutto differente da chi l’ha sempre abitata: tra villaggio Olimpico, Fondazione Prada, nuovi uffici, piazze e scuole. Farà sicuramente molto “il luogo nuovo dell’immaginario collettivo” per una città come Milano. Perché si potrà trovare quello che ci si immagina in una città come Milano, esattamente come visitando piazza Gae Aulenti o Citylife in zona Fiera.

E probabilmente turisti e cittadini (di altre zone) esclameranno “ecco, finalmente Milano”, quella che ci si aspetta. Quella da visitare. Pace insomma, se non ci sarà più il palcoscenico dell’ex Cinema Roma (poi Italia e poi Maestoso) di inizio ‘900 o mille altri piccoli tesori che invece di essere spazzati via sono stati abbattuti senza neppure un ricordo, Pace perché questo è il quartiere futurista per eccellenza da sempre, fin da quando è sorto. E lo dimostra il fatto quel cavalcavia, come una diagonale secca, che lo segna da sempre. Con alle spalle Porta romana, la città e quella campagna, o ciò che rimane di essa.

La storia si ripete. Lo insegnano i quadri di Umberto Boccioni, che qui viveva ed aveva lo studio, nel suo quadro, per chi scrive, più bello, ovvero “Crepuscolo” dove, appunto, ha disegnato esattamente l’area dello Scalo Romana come era allora: tra impalcature, luci, lampioni, ciminiere e quello che restava , anche allora, della campagna che è esattamente, quello che sta succedendo ora.

In tre quadri di Boccioni, la nuova Milano di adesso? Forse. Basta guardare i quadri di Crepuscolo, Mattino e Meriggio-Officine a Porta Romana per comprendere quale straordinaria ed attualissima sintesi (i quadri sono tra il 1908 e 1909) di ciò che sta avvenendo di nuovo, ora nella stessa zona.

Di nuovo esattamente ciò che vedeva Boccioni dalle sue finestre, mentre dipingeva e scriveva e che gli fece dire: «sento che voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale». E esattamente come Boccioni, che aveva “sotto gli occhi” una Milano tutta da inventare dalle finestre di casa presso Scalo Romana, ecco che la crescita avviene ancora oggi partendo proprio dalla stessa zona. Perché Milano, per essere Milano, ha bisogno di continua trasformazione.

Senza nostalgie o ricordi per ciò che scompare e non si vuole (o si può) salvare. Uno straordinario ritorno verso il futuro. Quale sarà, chissà.

Cristina T. Chiochia