Lorenzo Cesa, leader UDC

Crisi di governo, fiducia ottenuta per un soffio, Conte traballa. E, quindi, che fa? Cerca di negoziare con il centro. Peccato che il leader dei democristiani italiani, Lorenzo Cesa, sia indagato per associazione a delinquere aggravata da metodo mafioso. L’inchiesta, che passerà alla cronaca come “inchiesta di Catanzaro” procede con la casa di Cesa di Roma che viene perquisita dalla polizia, di primo mattino, proprio mentre, a Palazzo Chigi, si sta trattando per evitare che la crisi porti il governo giallorosso alla deflagrazione. La pennellata di bianco auspicata da Conte, si tinge del colore della vergogna, e l’operazione di allargare al centro fallisce.

Il centrodestra al Colle a metà pomeriggio per avere un colloquio con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. L’incontro si concluderà con una nota del partito che definisce ” impossibile lavorare con questo Parlamento: la maggioranza è inconsistente.”

Piero Benassi, ambasciatore del premier Giuseppe Conte, viene nominato sottosegretario con Delega ai Servizi, ma non sarà una tremula fiammella a rischiarare l’oscurità in cui il governo italiano sta, per l’ennesima volta, piombando.

Nel pomeriggio si presentano al Quirinale Lega, FdI e Fi, ma appare evidente come l’opposizione non sia compatta sulla richiesta di andare al voto: mancano i piccoli partiti.

Il numero 156 della maggioranza non convince, Conte continua a sperare di far salire i senatori a sostegno della maggioranza oltre quota 161, Matteo Renzi prova a ribadire la sua presenza, ma il leader di Italia Viva non appare più come il nocchiero dell’opposizione quale appariva sino a pochi giorni prima del voto per la fiducia. Anzi: i gialli guardano a Italia Viva per pescare qualche senatore che voti per loro.

È così che i grillini di Conte guardano al Senato per i rinforzi, sperando nel sostegno dei tre senatori Udc: Paola Binetti, Antonio Saccone e Antonio De Poli. Ma proprio quando le trattative tra i gialli e i bianchi sembrano avviate, ecco che Cesa viene arrestato con una accusa pesantissima.

Luigi Di Maio è costretto a salvare la faccia: “mai il M5S potrà aprire un dialogo con soggetti condannati o indagati per mafia o reati gravi” dichiara lesto, mentre i democristiani esprimono, invece, solidarietà al loro capo.

Insomma, la crisi italica procede e continua ad imbarazzare, con alti e bassi e loschi colpi di scena.