(com) La proposta di istituire un congedo parentale di ulteriori due settimane, votata ieri dal Gran Consiglio contro il parere dell’UDC, non solo mette in difficoltà i datori di lavoro su territorio ticinese, ma presenta delle criticità anche a livello giuridico e sarà difficilmente applicabile per i seguenti motivi:
• allo stato attuale il diritto federale non permette ai Cantoni di introdurre un congedo parentale per i salariati del settore privato. Infatti il contratto di lavoro è regolamentato dal codice delle obbligazioni (CO) e ogni modifica dello stesso è di esclusiva competenza federale.
Per poter attuare un congedo parentale bisognerebbe modificare il CO oppure la Legge sul lavoro. Ad oggi é previsto solo il congedo maternità (art. 329f CO) e congedo di paternità (art. 329g CO)
• dal profilo della facoltà per i Cantoni di istituire una nuova assicurazione sociale (congedo parentale), la situazione sembrerebbe un po’ più favorevole, ma anche qui ci sono dei pareri discordanti e delle problematiche di attuazione non indifferenti.
Di principio dal profilo costituzionale non ci sarebbero ostacoli nel prevedere in una norma cantonale il finanziamento per un congedo parentale mediante un sistema di contributi paritetici (datore di lavoro e dipendente).
In assenza di una disposizione contenuta nel CO che riconosce l’istituto del congedo parentale, il dipendente si troverebbe tuttavia nella situazione paradossale dove non avrebbe la sicurezza giuridica che tale congedo gli sia effettivamente concesso.
Infatti il datore di lavoro non avrebbe alcun obbligo di concedergli il congedo parentale, a meno che esso non sia previsto in modo specifico in un contratto collettivo di lavoro (CCL) oppure in un contratto individuale speciale (ex art. 344ss C). In pratica l’assicurato e il datore di lavoro avrebbero un obbligo contributivo a fronte di una prestazione incerta.
Il principio della certezza del diritto non è dunque garantito.
Per il gruppo UDC Ticino on. Roberta Soldati, deputata al Gran Consiglio