di Giorgio Ghiringhelli
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Pubblichiamo questo testo come contributo al dibattito sull’iniziativa antiburqa in votazione il 7 marzo.
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Il prossimo 7 marzo i cittadini svizzeri saranno chiamati a votare sull’iniziativa popolare che chiede di inserire nella Costituzione federale il divieto di dissimulare il volto negli spazi pubblici , con eccezioni per motivi inerenti alla salute (come ad esempio le mascherine sanitarie in caso di epidemie) , alla sicurezza, alle condizioni climatiche e alle usanze locali (carnevale ecc.). Anche se il nuovo articolo costituzionale non lo cita espressamente, è chiaro a tutti che il bersaglio principale è il velo integrale (burqa o niqab), cioè quel simbolo di oppressione delle donne musulmane che impedisce la loro integrazione nella nostra società e che , come sostiene la musulmana zurighese Saïda Keller-Messahli “non rappresenta una prescrizione religiosa ma un imperativo politico degli islamisti” .
Il divieto del burqa è una questione di principio, non di numeri
I casi di donne con il velo integrale sono ancora poco numerosi in Svizzera ? Si, fortunatamente è vero, ma senza un divieto il loro numero sarebbe destinato a crescere, come è successo in altri Paesi europei : e allora è meglio prevenire prima che sia troppo tardi. E poi si tratta di una questione di principio e non di numeri . I cittadini di questo Paese avranno dunque l’opportunità di lanciare un forte segnale di resistenza contro l’islamizzazione e nel contempo di dare un avvertimento a quelle autorità federali che non hanno avuto il coraggio di fare una scelta di civiltà e di sostenere una proposta sottoscritta da 106’000 cittadini e già in vigore in Francia, Belgio, Austria e Danimarca. Queste autorità si sono dimenticate che nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva respinto un ricorso contro la legge “antiburqa” entrata in vigore nel 2011 in Francia, con la motivazione che in una società democratica un divieto del genere, motivato con la necessità di preservare le condizioni del “vivere assieme” e di proteggere i diritti e le libertà altrui, “non solo è proporzionato allo scopo perseguito ma è pure necessario per il suo conseguimento”.
Il federalismo non è un dogma assoluto
C’è chi sostiene che la decisione di introdurre un eventuale divieto sul piano nazionale cozzerebbe contro il federalismo e lederebbe le competenze e l’autonomia dei Cantoni in materia di sicurezza. Beh, se il divieto di dissimulare il volto fosse giustificato unicamente per motivi di sicurezza e di ordine pubblico , allora si potrebbe anche essere favorevoli a una soluzione di tipo federalista, perché la responsabilità della sicurezza interna del proprio territorio è affidata dalla legge in primo luogo ai singoli Cantoni. Ma il divieto del burqa è solo in minima parte una questione di sicurezza. Esso è soprattutto una scelta di civiltà che riguarda tutta la Svizzera, perché la salvaguardia di certi principi universali non può essere delegata al giudizio dei singoli Cantoni.
Sul Corriere del Ticino del 6 settembre 2016 il compianto professore Lauro Tognola, in risposta a un politico che si era schierato per una soluzione federalista, aveva osservato : “Così tu sembri pretendere che la scelta di parità dei sessi – principio universale, caposaldo della modernità – venga delegata alla competenza dei Cantoni, così che ognuno decida secondo l’importanza locale del “problema” burqa o niqab : delega come operazione “politicienne” per sminuire l’entità della posta in gioco”.
Secondo l’’articolo 3 della Costituzione federale i “Cantoni sono sovrani per quanto la loro sovranità non sia limitata dalla Costituzione federale (…) “ . E dunque è chiaro che il principio federalista non è un dogma assoluto ma può subire delle limitazioni se le stesse sono inserite nella Costituzione per volontà del Popolo sovrano.
Sì al divieto, ma non nella Costituzione?
C’è pure chi sostiene di essere favorevole al divieto del burqa, ma contrario all’inserimento di tale norma nella Costituzione federale anziché in una legge. A costoro va ricordato che i negli ultimi dieci anni a più riprese vi erano stati interventi nel Parlamento nazionale miranti a introdurre il divieto proprio in una legge (l’elenco di questi interventi è riportato nel messaggio del Consiglio di Stato numero 6.732 del 16 gennaio 2013) , ma tutte queste proposte erano state bocciate dal Consiglio federale o dal Parlamento . Ora dunque è troppo tardi per tornare indietro.
Chi è davvero contrario alla diffusione del velo integrale deve cogliere questa ultima occasione e votare a favore dell’iniziativa, senza “se” e senza “ma”… . Dopotutto il divieto in questione non è una semplice misura di polizia e di ordine pubblico , che effettivamente non meriterebbe di essere elevata a rango costituzionale, ma come detto è una scelta di civiltà a ulteriore tutela di un principio universale oggi messo in discussione dall’avanzata dell’islam politico, e come tale merita di essere inserito nella Costituzione (come già i ticinesi avevano deciso nel 2013) , dove fra l’altro non potrà più essere tolto o modificato senza il consenso del popolo…
Giorgio Ghiringhelli
(membro del comitato dell’iniziativa federale)