di Maurizio P. Taiana

Pubblichiamo con piacere questo articolo dal tono brioso e provocatorio, di un giovane “contestatore” (così si sarebbe detto ai tempi in cui noi eravamo giovani).

Quanto alla via Adamini, siamo ben lieti che i lavori siano finalmente conclusi. Non se ne poteva veramente più.

Sul Macello (citato nell’articolo) desideriamo chiarire la posizione del portale. Vogliamo che esso ritorni ai cittadini di Lugano, come luogo socialmente utile. Anche il Municipio è d’accordo (teoricamente).

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Le ex officine Morel site in via Adamini sono prossime alla demolizione. Questo fatto, ovvero la riqualifica urbana di un sedime oggettivamente ormai troppo «pregiato» per lasciarlo alle incurie del tempo è stata la premessa per l’esperienza omonima.

foto Spazio Morel

Già solo ciò merita una mensione :la distruzione dello stabile è stato il movente che ha spinto il gruppo d’interesse dietro all’operazione immobiliare a concedere gli spazi ai «Morellini». Con tutta probabilità è una prima – forse non solo di questo millennio ma assoluta – per Lugano. Una cordata di imprenditori, privati quindi, hanno permesso a più individui di vivere un’esperienza artistica in un medio periodo calcolabile in anni.

Questo modo di fare impresa, stringendo l’occhiolino alla cultura dal basso è stata la prima peculiarità del fenomeno Morel. Proseguiamo.

Chi/cosa erano questi bohémiens surf-rockettari ? Ecco alcune definizioni raccolte per la stesura di questo articolo :

Secondo alla gentile Signora ottantenne che solertemente allertava i tutori dell’ordine a settimane alterne, essi erano la « Quinta colonna comunista che prevarica i Luganesi portandoli all’empietà, facendo rivoltare nella tomba il Signor Morel».

Per qualche municipale essi erano la «scusa buona per liberarsi di un gruppo di lavativi lungo il Cassarate» ; paradossalmente alcuni giovani dicevano « Un centro sociale però pulito ! Non brozzo come quell’altro !».

Un’altra definizione gettonata, direi in zona cristiano-conservatrice era «bambini ricchi che giocano a fare i poveri per moda»

Ovvero una grande incomprensione generale.

A differenza della signora che ci ha gentilmente fornito la prima definizione, chi vi scrive non ha conosciuto il Signor Morel. È però certo, che per aprire il primo autosalone del Ticino doveva essere un visionario, e visto pure come folle per l’epoca (Cari colleghi del Corriere : quando avete scritto che ci sarebbero state tre dozzine di auto per la fine secolo XX avete toppato alla grande!).

L’intenzione di alcuni municipali è stata quella di sfruttare l’esperienza Morel per delegittimare l’autogestione in Lugano.  Qui bisogna dire che il collettivo di via Adamini ha cavallerescamente obbiettato non chinandosi a certi giochini, anche quando venivano ventilate ammende per svariate decine di migliaia di franchi  e anche considerando che, a ben vedere, l’autogestione ( o meglio, alcuna dubbia fauna che se ne erige custode e guardiana) è concausa della politica avversa a esperienze come quella appena conclusa.

foto Spazio Morel

Con i Se e con i Ma si può riscrivere la storia, probabilmente quella parte di politica che ha provato la leva avrebbe ottenuto veramente il suo scopo, se avesse incoraggiato l’esercizio artistico invece che ostacolarlo. Per dovere di cronaca, alcuni membri del Municipio e del Consiglio Comunale sembrerebbe abbiano supportato il progetto, addirittura consigliando caldamente di fare attenzione ad alcune probabili visite in determinate occasioni.

Chi parlava dello spazio come un centro sociale evidentemente non lo ha inteso o frequentato. Autogestione ? No, era una proprietà privata, questi pagavano i servizi di cui usufruivano e non erano a «scrocco». Potremmo definirlo uno spazio polifunzionale, non era un bar ma nessuno è mai morto di sete, non era una discoteca ma la musica bella era li, non era neanche un’albergo, ma un divano dove appisolarsi lo si trovava. Non era una galleria d’arte ma ne grondava, non era un luogo di culto ma aveva i suoi apostoli ed i suoi seguaci.  Non esiste ancora una normativa, una forma giuridica per idee come queste.

Ed infine le malelingue contafagioli.  Può anche darsi che abbiano fatto tutto ciò per moda, eppure queste persone, dovrebbero essere accusate più che di ipocrisia di stupidità, se dovessimo metterla in questi termini. Perchè se per «giocare» uno preferisce fare il barbone in un’officina abbandonata, dovendo affrontare forze dell’ordine, vicinato, autogestiti, gastroticino, il comune, gestire un palinsesto e controllare che i fruitori dello spazio non si mettano a fare i cretini ed infine convivere con una dozzina di persone – invece che una bella piscina a sbalzo con idromassaggio fronte mare in qualche posto esotico circondato da forme sinuose è al massimo stupido più che impostore.

La Scuola Artistica di via Adamini ha mostrato che esiste un altro capitale di pregio fin’ora semisconosciuto  in quel del Ceresio : il capitale umano.  L’influsso che questa comune ha avuto nel panorama artistico locale è incommensurabile.

Critica ? A volte troppo utopisti e distaccati dal resto della città, come quella volta che stavano meditando di aprire un’ala quale centro asilanti. Per questione di omonimia avrei ben visto una colonna di Mau-Mau sfilare tra Lac e palazzo Mantegazza (In realtà  il mio avviso fu tutt’altro e la cosa fu motivo di varie discussioni) , ma da un punto di vista realistico, questa visione che il Morel fosse un’isola in mezzo al Mar della Lugassia dove vigeva uno strano «primanostrismo»  ha alzato delle barricate che avrebbero potuto portare al disastro. Icberg evitato varie volte fortunatamente.

E quindi ? Bene che sia finita, e che sia finita bene, elegantemente, con una dignità ed integrità a cui pochissime iniziative hanno potuto ambire di questi tempi, qui, ora.  Grazie Morellini.

Maurizio P. Taiana