di Vittorio Volpi

Come sappiamo sulla base della “carta del 2008”, Min Aung Hlaing, il comandante in capo dell’esercito ed allo stesso tempo figura più potente del paese,  ha assunto i pieni poteri dal 1° febbraio scorso.

Letture diverse sull’evento: per i birmani un colpo di Stato, per Pechino un fatto di politica interna (ed un invito a non interferire in cose birmane), ma per i militari un’azione legittima poiché la “carta del 2008”  prevede che in caso di emergenza i militari possano assumere pieni poteri.  Ma quale emergenza?

Perché secondo Ming Aung Hlaing e la sua cricca di militari le elezioni che hanno visto trionfare il partito della Lady, Aung San Suu Kyi  (la lega nazionale per la democrazia, LND) sarebbero state truccate.

In realtà i generali ed il loro partito di riferimento (Uspd) si aspettavano una leggera sconfitta, ma non una disfatta a favore del partito di Aung San Suu Kyi, la leader carismatica conosciuta in tutto il mondo per la sua lotta per la democrazia con immani sacrifici personali: carcere ed isolamento in casa per decenni.

Templi a Bagan, città sulle rive del grande fiume Irrawaddy, antica capitale – Immagine Pixabay

I generali hanno sentito suonare il campanello d’allarme dai risultati elettorali ed hanno prontamente reagito con l’unico mezzo che da militari (e feroci con i rohingya), conoscono: l’uso del potere e della violenza.

Il paese, come vedremo,  sta reagendo con vigore. I militari, secondo informazioni, stanno muovendo truppe. Hanno fatto uscire dalle caserme mezzi corazzati. Per ora usano idranti, pallottole di gomme e lacrimogen,i ma non sarà così se, come si prevede, la protesta nelle strade si allargherà.

Inoltre in varie città prendono forma scioperi nelle fabbriche e uffici pubblici. Come ha descritto Thant Myint-U: ”il paese non è vicino alla democrazia, è sul punto di svolta verso un cambiamento rivoluzionario”.

Il Myanmar (ex Birmania) è afflitto dalla povertà, il 63% della popolazione vive con un dollaro e 90 centesimi al giorno, ma il quadro rispetto alle rivolte 1988 e 2007  guidate dai monaci buddisti (Rivolta Zafferano) è cambiato molto. Quasi tutti hanno ora un telefonino ed accesso a Facebook. Le connessioni ora esistono.  

Va  anche detto che mentre molti di noi ritengono che il genocidio rohingya da parte dei militari non andava difeso di fronte al Tribunale internazionale dell’Aia, come Aung San Suu Kyi ha fatto, per la popolazione le cose sono diverse.

La “Lady” rimane per loro un capo, un simbolo del movimento democratico, figlia di un eroe nazionale che ha pagato un duro prezzo per difendere valori alti, i birmani sono in massa al suo supporto. L’esercito ovviamente non rimane con le mani in mano e diventerà con ogni probabilità più duro. Scontri sanguinosi diventeranno inevitabili.

Secondo il South China Morning Post nella capitale Naypyidaw i militari avrebbero aperto il fuoco ferendo più persone, una grave. È facile prevedere, in fondo è un déjà vu in Myanmar che ci si avvii verso un escalation delle proteste e di una “repressione violenta”.

Sebbene, ha sostenuto Tom Andrew relatore speciale dell’ONU, “possono sparare ad una donna disarmata, ma non possono privare della speranza e piegare un popolo disarmato”, anche se i generali hanno dalla loro il potere e le armi, nel contesto attuale non avranno vita facile.

Si susseguono scioperi e manifestazioni simboliche, i dimostranti portano un nastro rosso e fanno il saluto a tre dita, ribadendo la protesta.

Myanmar, colpo di stato dei militari
Donna birmana – Immagine Pixabay

Cerchiamo di capire le ragioni del colpo di Stato.

In primis la preoccupazione dei generali che con la vittoria elettorale schiacciante di Suu Kyi e del suo partito che avrebbero potuto modificare la Costituzione che assegna una garanzia del 25% del Parlamento alle Forze Armate, oltre alla facoltà di scegliere i tre ministri più importanti: difesa, interni e frontiere.

Seconda cosa: non si esclude che il leader dei militari Min Aung Hliang abbia ambizioni personali, avendo 64 anni ed avvicinandosi l’età pensionabile, possa quindi aver usato il putsch militare per prolungare la sua carriera politica. Peraltro, ricordiamo che i militari hanno paventato nuove elezioni entro 12 mesi, cosa in cui nessuno crede.

Per questo parecchi osservatori ipotizzano, alla lunga, che alla fine nascerà un modello di Stato stile Thailandia. Una “quasi democrazia” (democrazia imperfetta), ma ovviamente con maggiore potere ai militari. 

Difficile viene visto invece che il percorso democratico degli ultimi 10 anni possa progredire.

La probabilità di una regressione  è invece più probabile. Dipenderà da quanto il popolo lotterà ed in che modo. Da notare che mentre Pechino ripete la formula “non ingerenza” (e si capisce il perché), Washington ha cambiato marcia sui “diritti umani”.

Colpirà con sanzioni, impoverendo ancora di più un paese già povero ed arretrato di suo. Con il nuovo presidente Biden, i diritti umani sono ritornati alla ribalta.

I responsabili del colpo di Stato farebbero bene a rileggere però uno scritto di Ai Ching (padre del famoso Weiwei) intitolato “Il Muro”… “non può bloccare (il muro) le nuvole, il cielo, la pioggia ed il sole e non può nemmeno fermare milioni di pensieri, più liberi del vento”…

I militari potranno con la forza tenere il potere per mesi, forse per anni, ma il risultato elettorale dice inequivocabilmente che i birmani hanno scelto la democrazia.