È morto a 79 anni il boss mafioso Raffaele Cutolo, nelle carceri di Parma.

Il camorrista aveva ispirato una delle più famose canzoni di Fabrizio De Andrè, «Don Raffaè», brano del 1990, che denunciava la situazione critica delle carceri italiane negli anni Ottanta e la presunta sottomissione dello Stato al potere della criminalità organizzata, ipotizzando addirittura il dialogo tra Pasquale Cafiero, brigadiere del Corpo di polizia penitenziaria del carcere di Poggioreale e il boss camorrista “don Raffaè”, figura ispirata, per l’appunto, a Raffaele Cutolo.

Lo stesso scrisse a De André per complimentarsi per il fatto che il cantautore descritto così bene la sua vita carceraria pur senza conoscerlo; il cantautore, per tutta risposta, lo ringraziò e lo lasciò libero di pensare che “don Raffaè” fosse davvero lui ma non proseguì il carteggio col malavitoso.

Ma cosa fece, realmente, il boss Cutolo? A vent’anni uccise un ragazzo, che aveva fatto apprezzamenti a sua sorella, condannato a 24 anni per tale omicidio, sfida in carcere a duello Antonio Spavone, altro boss della camorra, con un coltello a scatto (chiamato in gergo “la molletta”), e, quando questi non si presenta, Cutolo guadagna prestigio tra i carcerati. Scarcerato nel 1970 per decorrenza di termini, viene re-incarcerato nel 1971, e durante la detenzione a Poggioreale organizza la “Nuova Camorra Organizzata” (NCO), un’organizzazione piramidale e paramilitare, che tra gli affiliati conta il picciotto, il camorrista, lo sgarrista, il capozona ed il santista, al vertice c’è solo lui, chiamato “Vangelo”.

Scarcerato per infermità mentale viene tenuto poi in un ospedale psichiatrico, dal quale, infine, evade nel 1977. Qui inizia la famigerata carriera di mafioso: dai rapporti con la malavita pugliese, con la ‘ndrangheta, con le bande di Renato Vallanzasca e con Francis Turatello per il commercio della cocaina. Poi, sotto lo pseudonimo di Prisco Califano, in breve, al comando della NCO penetra in tutti i settori dell’economia campana e con la connivenza dei politici locali, si impadronisce dei fondi della CEE destinati ai produttori di conserve.

Dopo le fallite trattative coi servizi segreti per la vana liberazione di Aldo Moro, dopo l’uccisione di Franco Nicolini detto “Franchino er Criminale”, suo collega malavitoso, blocca i fondi per la ricostruzione delle città dell’Irpinia colpite duramente dal terremoto del 1980, finalmente incarcerato nel 1981, si fa mandante dell’omicidio dai pentiti Barra e Pandico, (dei quali però il boss si dichiarerà sempre innocente), e dei mafiosi Vincenzo Casillo e Mario Cuomo , i quali rimangono vittime di un attentato a Roma il 29 gennaio 1983 a causa di una bomba nascosta in un’automobile, in seguito alla quale Casillo muore sul colpo, mentre Mario Cuomo sopravvive ma rimane mutilato degli arti inferiori.

A Cuomo è anche ispirato il film di Giuseppe Tornatore: «Il camorrista» del 1986, tratto dall’omonimo romanzo-intervista di Giuseppe Marrazzo, al quale Cutolo aveva mosso pesante critiche per la modalità con cui il libro descriveva gli eventi, in quanto il dialogo scorreva in prima persona, come se a parlare fosse lo stesso Cutolo, contestata invece dal carcerato.

Morto per una setticemia del cavo orale all’età di 79 anni, Cutolo era detenuto nel carcere 41bis di Parma.