Ne erano usciti ufficialmente a novembre dello scorso anno su ordine dell’ex presidente Donald Trump firmato bruscamente nel 2019, diventando il primo e unico paese a ritirarsi dall’accordo di Parigi adottato nel 2015 come strumento giuridicamente vincolante per impegnarsi tutti a ridurre le proprie emissioni di gas serra.

A partire da oggi, gli Stati Uniti ritornano legalmente al patto globale sul clima di Parigi dopo la firma dell’ordine esecutivo del presidente Biden nel suo primo giorno di carica.

L’obiettivo è mostrare solidarietà sul clima con i partner europei e gli altri alleati. A causa della pandemia di coronavirus le emissioni nocive in America sono crollate, ma si è trattato appunto di una eccezione. La ripresa farà aumentare nuovamente le emissioni e l’amministrazione Biden dovrà sbrigarsi per trovare il modo di mettere gli Stati Uniti sulla giusta strada per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che secondo gli scienziati sono assolutamente necessari per evitare gli effetti peggiori del riscaldamento globale. In questo modo potranno ripristinare la credibilità americana soprattutto per convincere anche la Cina a recuperare. Quest’ultima è il paese di gran lunga più inquinante al mondo per l’atmosfera terrestre.

Oltre 120 paesi hanno promesso di avere zero emissioni di carbonio intorno alla metà del secolo. L’obiettivo internazionale è quello di mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali. Il mondo infatti, si è scaldato di circa 1,2°C da quel momento. Nel 2015, l’anno più caldo mai registrato, la temperatura era aumentata di 1°C.

Il patto di Parigi rappresenta il primo sforzo mondiale per ridurre le emissioni di gas serra nei prossimi decenni. I negoziatori di 196 paesi (sia ricchi che poveri) si sono uniti per cambiare Madre Terra. Ma ovviamente i piani nazionali già presentati da 186 paesi, non si avvicinano neanche lontanamente al raggiungimento dell’obiettivo generale. Le emissioni globali sono lontane da quell’intento. Sono previste 55 miliardi di tonnellate di emissioni globali nel 2030, rispetto ai 35 miliardi di tonnellate odierne.

Preservare le foreste e il taglio del consumo di carbone potrebbero comunque mantenere un equilibrio frenando il riscaldamento globale.

La direzione è chiara comunque: spostarsi verso una civiltà a basso inquinamento il più rapidamente possibile in base alle circostanze di ogni singolo Paese. Stimolare dunque l’accelerazione del passaggio all’energia pulita.

Il divario delle emissioni è cresciuto in modo significativo dal 2010 da quando il primo rapporto è stato prodotto dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente. Ad oggi, il divario tra ciò che i Paesi si sono impegnati a fare individualmente per ridurre le emissioni e ciò che devono fare collettivamente per rispettare i limiti di temperatura concordati, si è ampliato fino a quattro volte dal 2010.

Tornare ad aderire all’accordo di Parigi è stata la parte più facile per gli Stati Uniti. Adesso devono recuperare il tempo perduto impegnandosi a ridurre le emissioni che intrappolano il calore e ripristinare la loro posizione sulla scena mondiale, cercando di dare l’esempio per fermare il riscaldamento oltre la soglia critica che rappresenta sicuramente una minaccia esistenziale.