di Vittorio Volpi

Il Dragone, simbolo della potenza cinese – Immagine Pixabay

Un motivo di speranza che ci dà la pandemia è che non è una cosa che l’uomo non abbia mai conosciuto, come ci ricorda nel suo bel saggio Fareed Zakaria (“The lesson for a post pandemic world”).

Nei primi versi dell’Iliade si racconta che l’armata greca è devastata dalla pestilenza. Risulterebbe essere la condanna per Agamennone, reo di avarizia e litigiosità.  Per non parlare della peste bubbonica del 1330 nell’Asia Centrale, diffusasi poi in Centro Europa uccidendo metà della popolazione. A completamento d’opera, la terribile spagnola dalla prima guerra mondiale.

Importante osservare come ogni volta che una pandemia si manifesta, succedano forti cambiamenti o si presentino forti opportunità di cambiare lo status quo. Potrebbe essere anche questa volta il  momento, come scrisse Lenin, del cambiamento, “ci sono decenni dove non succede niente e poi ci sono cambiamenti di decenni in una sola settimana”: ma, come commentava Zakaria, quando i cambiamenti sono veloci, eccezionali, le conseguenze possono anche  essere distruttive se non mortali. In realtà per ora abbiamo vissuto molti danni, ma è certo che per quelli dell’economia siamo solo all’inizio.

In sostanza la vita post pandemia potrebbe essere diversa per paesi, aziende e specialmente per le persone. Vengo da un incontro con un senior manager che mi segnala la sua preoccupazione per il conclamato smart working, lavoro da casa. Non solo la produttività decade se il periodo è prolungato, ma si notano nei colleghi segnali di stanchezza, di isolamento e perdita di concentrazione. La curva dell’apprendimento si abbatte. Insomma, per l’emergenza si fa questo e altro, se però diventa definitivo, non funziona. Lo stesso impatto negativo/positivo si applica anche nella geopolitica. Sulla base delle previsioni e delle strategie perseguite, sono manifeste le mosse dei key players della politica mondiale. Soprattutto l’arrivo del Presidente Biden ha rimescolato le carte e sparigliato il gioco. Washington si è distinta in passato per le sue cattive mosse, particolarmente sotto la presidenza Obama con il “Pivot to Asia”: muovere il suo arsenale navale verso l’Estremo Oriente, alleggerendo la presenza a stelle e strisce in Medio Oriente, è stata una mossa incauta.

Meno Usa ha mosso le acque e dato spazio a Russia e Turchia di riempire le caselle. Trump ha commesso poi un errore madornale in Iran sul nucleare, interrompendo il dialogo di per sé già difficile.

Ora Biden sta tentando di rimettere ordine nel contenzioso e riprendere il dialogo, ma nel frattempo si sono già mossi da Pechino. Infatti è stato firmato un accordo a Teheran che garantirà all’Iran 400 miliardi di dollari dai cinesi nei prossimi 25 anni per appoggiare lo sviluppo strategico della Repubblica islamica nelle telecomunicazioni, informatica, rete ferroviaria e porti, in cambio di forniture di petrolio a prezzo scontato.

Per Biden, al quale è richiesto di togliere le sanzioni all’Iran, è un brutto colpo prima di sedersi al tavolo delle discussioni. Il ministro cinese  Wang Yi sta anche lavorando in Medio Oriente. Ha visitato gli Emirati ed ha anche proposto di ospitare a Pechino un vertice di pace fra israeliani e palestinesi. Pechino ha perfettamente capito che in futuro conteranno di più il soft power (alleanze, diplomazia) che i carri armati e le portaerei e fra gli strumenti di soft power, il vaccino. Il Covid  è diventato per le grandi potenze un’arma micidiale per la propaganda politica. Ed allora, mentre Usa e Giappone promettono nel Sud Est Asia milioni (miliardi) di dosi vaccinali, i russi spingono il loro Sputnik verso paesi amici o che vorrebbero amici, recenti il Venezuela e San Marino. I cinesi sarebbero attivi su più fronti, anche perché non hanno fretta ( bisogno di vaccini)  a casa loro essendo, sembra, la situazione sotto controllo.

La loro “diplomazia sanitaria” è molto rivolta verso quei paesi finora strettamente legati a Washington. Pechino, come detto, ha firmato nei giorni scorsi un accordo con gli Emirati, prevedendo addirittura la produzione del vaccino in impianti locali, un segnale molto importante della capacità di compromesso cinese per perseguire i suoi obiettivi politici.

Allo stesso tempo però,  secondo Corsera, a Dubai non si esclude di dover ricorrere in alcuni casi ad una terza vaccinazione in quanto il rimedio Sinopharm sarebbe insufficiente contro le varianti.

Buono a sapersi, il maggior produttore al mondo di vaccini sarà l’India (1 miliardo 366 milioni di abitanti).

In conclusione mentre la pandemia ha causato milioni di morti ed altri ne continua a mietere, per alcuni paesi, Cina in testa, il vaccino è usato come uno strumento diplomatico/militare soft per alleanze strategiche.

Più in generale, si osserva chiaramente come il vaccino per il COVID 19 sia diventato un nuovo, enorme, business che potrebbe contribuire ad allargare il tragico gap che già esiste tra chi ha e chi non ha.