L’editore Dadò ha pubblicato un interessante libro con i principali discorsi di Flavio Cotti e un’introduzione dello storico Altermatt. Mi sono tornate vivide alla memoria le figure dei tre ticinesi assunti alla carica di consigliere federale che ho avuto il privilegio di conoscere: Giuseppe Lepori, Nello Celio, Flavio Cotti.

Giuseppe Lepori. Eravamo ragazzini a Massagno il giorno (16 dicembre 1954) in cui fu eletto – Foto Wiki commons, Archivio della Confederazione

Giuseppe Lepori: vasta cultura umanistica, rigore, profondo rispetto per la dignità della magistratura. L’ho conosciuto da studente, ero allora dirigente del movimento dei giovani conservatori, e nei mesi estivi collaboravo al segretariato del partito e al Popolo e Libertà. Mi rivolgevo a Giuseppe Lepori, presidente del partito, che mi dedicava del tempo per ficcarmi in zucca un po’ di teoria politica. Quel tempo che odiava sciupare in banalità, era infatti proverbiale il suo «tre minuti» indirizzato ai visitatori. Odiava le ciance inutili e non era incline ai «pappa e ciccia» clientelari.

Al Popolo e Libertà ero incaricato della cronaca dei comizi del Partito. Se l’oratore era lui, mi chiamava per darmi, su un foglietto con la sua calligrafia minuta, il riassunto di quanto avrebbe detto, poi, la fiducia aumentata, mi dettava solo qualche idea e l’incontro nel suo ufficio si dilungava se qualche mia domanda od obiezione lo interessavano. Grande oratore: un’oratoria limpida ma severa, precisione di termini ed eleganza lessicale, uno spessore culturale difficili da uguagliare.

Nel partito l’altro oratore di grande impatto era Riccardo Rossi, che al fioretto di Lepori opponeva con foga la spada che travolgeva e trascinava. Tra i liberali, Brenno Galli era simile a Lepori per la precisione del linguaggio, poteva inserire un lunghissimo inciso in una frase che riprendeva più innanzi senza la minima dissonanza.

Nello Celio, pure grande oratore, parlava in termini più semplici stabilendo un rapporto magnetico di empatia con gli ascoltatori, sapeva sempre intuire cosa ci si attendeva da lui. Nel 1954 Giuseppe Lepori, nominato consigliere federale, arriva all’apice della carriera da magistrato, figura della quale impersonava serietà e dignità. Purtroppo, la salute gli ha troncato l’attività impedendogli di lasciare una traccia più importante del suo agire. Nello Celio l’ho conosciuto in tre fasi. La prima quando giovane deputato al Gran Consiglio (a 24 anni allora si era molto giovani) lo interpellavo e criticavo, specie sui temi dell’energia elettrica, spronato dai margnifoni del mio partito, che mi usavano quale buttafuori.

foto Ticinolive

Alla fine di uno di questi accesi dibattiti mi avvicinò molto simpaticamente felicitandosi per la mia capacità d’eloquio ma bonariamente raccomandandomi di non prendere per oro colato tutto quello che mi suggeriva quel «volpone» di Maspoli, allora autorevole presidente del mio partito. Ci siamo reincontrati quando, uscito dal Consiglio di Stato, ero divenuto ricercatissimo avvocato d’affari e più volte ci siamo trovati a confronto. Ricordo alcune cene da me, una magnetica simpatia si diffondeva nei conversari che ovviamente dominava. Le serate terminavano sempre dopo mezzanotte e i presenti avevano diritto ad un’interminabile serie di spassosi aneddoti, racconti del nostro strapaese, e una mitragliata di barzellette.

Il figlio Teco, oggi apprezzato attore, non deve chiedersi da chi ha ereditato il talento. Infine ho avuto contatti con il Celio, consigliere federale. Tra l’altro a quei tempi l’avvocato Agnelli mi aveva incaricato di rappresentare gli interessi dell’aereo della Fiat, il G.91. Celio si divertiva per la battuta con la quale sostenevo che la minor velocità dell’aereo Fiat era un vantaggio, infatti gli altri tipo Mirage erano talmente veloci che appena decollati si trovavano fuori Svizzera. Eccezionale intelligenza, rapidità di pensiero, modestia vera unita al desiderio di soddisfare le necessità degli altri, una forma di bontà.

Il rapporto con Flavio Cotti è diverso per ragioni di età. Alla mia nomina in Consiglio di Stato mi scrisse, allora liceale di Sarnen, una lunga lettera di felicitazioni che esondava di passione. Quell’intensa sua passione che lo ha fatto vivere a «pane e politica». Tra i tanti talenti suoi mi limito a sottolineare l’abilità nello stabilire rapporti personali, talvolta di amicizia con i politici stranieri. Cito Mitterrand, Chirac, ma anche gli alti gradi delle funzioni protocollari dell’Elysée. Con il suo collega germanico Kinkel aveva rischiato la polmonite doppia gettandosi nelle gelide acque del Mare del Nord, suggellando in tal modo un legame di reciproca confidenza.

Ha raggiunto l’apice con il suo rapporto di vera amicizia con un grande personaggio come Kohl, cancelliere tedesco. Kohl veniva da Bonn in Ticino per mangiare in casa Cotti il risotto preparato da Flavio. Una diplomatica combinazione di curiosità intellettuale, desiderio e abilità nello stabilire relazioni speciali e aperte nell’interesse della Svizzera. Costante nei suoi atti e nei nostri colloqui degli ultimi anni, l’intima e personale preoccupazione del convinto cristiano in politica che continuamente si interrogava su coerenza e conciliazione. Di grande stile anche il riserbo che si è imposto dopo aver abbandonato la carica.

Piccoli aneddoti su tre grandi uomini. Gli aneddoti sono il sale dei ricordi.

Tito Tettamanti

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