Come ricordiamo, il 1° febbraio scorso c’è stato un colpo di stato dei militari per rovesciare il governo democratico ed i suoi leaders inclusa la passionaria Aung San Suu Kyi. La fragile democrazia è stata abbattuta perché le elezioni del 2020 hanno visto trionfare il partito NLD (Lega Nazionale per la democrazia).

I generali del Tatmadaw potevano accettare un partito democratico e condividere il  potere in minima parte,  ma la maggioranza paventava una possibile modifica della Costituzione che avrebbe potuto metterli fuori gioco. Inaccettabile, tenendo conto che il Tatmadaw non è solo carri armati e cannoni,  ma una costola dell’economia del paese.

Quindi un potere immenso non rinunciabile per la nomenclatura militare. Il colpo di stato non è stato accolto dalla maggioranza della popolazione, il cui profilo è cambiato negli ultimi anni. Anche se i collegamenti wifi sono stati bloccati, i cellulari funzionano e con il passaggio delle frontiere (Thailandia) le comunicazioni internazionali restano possibili. Tra l’altro, notizia di oggi, i dimostranti del Myanmar hanno occupato l’Ambasciata a Londra portando la loro voce fuori dai confini birmani, non un dettaglio da poco.

Purtroppo  i generali seguono lo stesso spartito che ha sconfitto in passato le due precedenti ribellioni, dimostrando una brutalità che costringe i dimostranti ad arretrare. All’inizio l’uso di cannoni ad acqua, manganello e gas lacrimogeni, ma questa volta la protesta pacifica è stata abbinata ad una campagna di disobbedienza civile che ha chiuso banche e distribuzione, lasciando i porti pieni di merci non sdoganata. La situazione sta diventando più disperata di giorno in giorno. Il rischio è sempre più quello di una guerra civile o il collasso nel caos per cui i militari hanno cominciato a sparare e per terrorizzare mirano alla testa.

Secondo il “World food program” delle Nazioni Unite lo scontro protratto potrebbe presto condurre ad una carestia. Ciononostante, la storia ci dice che il Tatmadaw non si fermerà, ma raddoppierà i suoi sforzi.

Ironico vedere la parata militare settimana scorsa, definita dai maggiori media occidentali giornata della vergogna. Carri armati e missili da una parte ed i poveri dimostranti dall’altra a ricevere qualche pallottola in testa.

Le vittime in due mesi si avvicinano a 600 e chissà quanti in carcere e torturati.

Le sanzioni e le proteste Usa e UK faranno pure male, ma non hanno il potere di fermare il massacro e mentre i dimostranti muoiono, alcune grandi potenze continuano a fornire armi ai generali. Il Security Council delle Nazioni Unite non riesce a far approvare un embargo di armi al Myanmar. Fra gli oppositori alcune grandi potenze che forniscono armi al Tatmadaw.

In testa a tutti la Cina che è il più importante partner commerciale ed investitore nel Myanmar con il quale condivide anche confini. Dov’è la coscienza, si domanda il Financial Times, di quei paesi che forniscono armi a chi le usa per uccidere i propri cittadini? Chi potrebbe salvare il paese dal caos e guerra civile? La risposta è semplice. In particolare India e Cina, perché un paese nel caos e fallito, se continua così, tenendo conto anche della dimensione, 53 milioni di birmani, non dovrebbe essere nel loro interesse, ma sappiamo che spesso il rispetto per le vite umane non prevale sull’interesse politico (ed anche economico).

Purtroppo il  problema, tenendo presente che il disastro è vicino, dovrebbe essere risolto in fretta. Soprattutto per salvare vite umane innocenti.

Vittorio Volpi