“Non siamo una super power emergente”

di Vittorio Volpi

“L’amicizia ravvicina i popoli, qualunque sia la loro distanza” è l’incipit del discorso di Xi Jinping pronunciato il 18 aprile scorso al Boao Forum for Asia, la copia asiatica del Davos World Economic Forum.

L’evento a Boao, Hainan, celebrava il 20mo anniversario del Forum di fronte ad un partèrre di altissimo livello, includendo ad esempio il CEO di Apple, Tim Cook, il presidente di Goldman Sachs, John Waldron, il boss di Tesla, Elon Musk, Schwarzman di Blackstone.

Un’orazione pubblica del massimo leader cinese per “chi ha orecchie, intenda” e riferisca. Il convitato di pietra, il presidente Biden, ha sicuramente letto il resoconto di un discorso muscolare dove Xi ha criticato la politica americana, anche se non con un linguaggio esplicito e con alcune delle osservazioni ben fondate.

Vediamo in particolare i punti essenziali toccati nello speach.

“Si deve accettare che la Cina di fronte alle sfide globali non è un emerging super power (una emergente super potenza), ma uguale”. 

Ha proseguito sottolineando che le organizzazioni cardine globali (G20, G7, WHO, Nazioni Unite) sono vecchie, stantie, inadeguate e non più in linea con i tempi e le realtà attuali.

Non si può non essere d’accordo con lui. Tenendo conto che i 2/3 dell’economia mondiale sono in Asia (e la percentuale è in crescita) che senso ha un G7?

Cosa contano ora nel contesto geopolitico mondiale Francia, Italia, Spagna? Sono piccole realtà economiche che dovrebbero rappresentare il potere mondiale?

L’India e la Cina assenti, ciascuna con circa 1 miliardo e 400 milioni di abitanti? Impeccabili quindi le  parole di Xi: “la governance globale dovrebbe riflettere l’evoluzione dello scenario politico ed economico”. Cosa obiettare?

NB: la crescita economica cinese – prima economia mondiale con gli USA –  nel primo trimestre ha superato il 18%;  abbiamo capito bene?

Altro punto cruciale del premier cinese: ”non è accettabile il “bossing”( mobbing) verso gli altri (da leggere: degli Stati Uniti)  ed interferire negli affari interni, non sarà ben accetto”.

Ciò dicendo, Xi non ha proferito parola sulle critiche di Washington (ed alleati), in merito alle violazioni dei diritti umani come quello degli Uiguri nello Xinjiang o dei problemi di Hong Kong perché sono affari interni cinesi sui quali gli americani dovrebbero astenersi dal criticare.

Un affondo sul problema del decoupling  (sdoppiamento delle economie) e cioè, se non ci si metterà d’accordo con gli Usa che si ostineranno a manipolare la catena dell’offerta, il risultato non sarà positivo per il mondo. Se le società Usa (semiconduttori e prodotti high tech) continueranno a boicottare le forniture ad aziende cinesi, come Huawei ad esempio, ognuno farà per sé a danno di tutti (appunto decoupling).

Qui Xi ha ribadito la sua visione del mondo, assolutamente contraria all’unilateralismo ed all’individualismo: dottrine false. Il mondo, ha sostenuto, sta incessantemente spingendo la bilancia del potere da Ovest a Est.  Usa in declino, Europa impagliata. Basta vedere coi vaccini, anziché un prodotto da capitalismo, la Cina lo vede come un bene da diffondere nel mondo, aiutando, non sfruttando.

Concetto indiscutibile se non fosse che la Cina, per prima, lo usi più ai fini politici che altro, perlomeno per ora. Come diceva Martin Lutero: “predicare l’acqua, ma bere il vino”.

Nel chiudere, Xi ha ricordato che il 2021 segna l’anniversario del primo centenario della nascita del PCC (Partito Comunista Cinese) ed ha sottolineato sofferenze e successi conseguiti dall’unificazione del ’49 ribadendo che la Cina non ricorrerà mai ad egenomie, espansione o sfere di influenza, né  a competere per essere superiore negli armamenti.

Concludendo con un po’ di poesia:  “Mettendo le vele insieme potremo sfidare i venti, rompere le onde e navigare lontano..”

Un discorso, in conclusione, da statista con un monito: non intende più accettare lezioni dalla maestrina a stelle e strisce. Discorso che va diretto al nuovo leader americano affinché ne prenda nota.