di Gianni Righinetti (Corriere)

“La speranza è che la ragione abbia la meglio sulle emozioni e che il nuovo tentativo risulti infruttuoso come lo è stato il primo; per lo Stato di diritto e per il dolore delle vittime che tali rimangono indipendentemente dalle sentenze, dal tempo trascorso e dalla prescrizione. L’abuso sessuale c’è stato e la CARP ha riconosciuto che non è stata «solo» coazione sessuale, ma c’è stata violenza carnale. Ebbene, speriamo che per tentare di scoprire chissà cosa su un abuso sessuale non si voglia ricorrere ad un abuso politico, magari anche solo per spirito di rivalsa dopo la sconfitta subita pochi mesi fa. Sarebbe davvero triste e non porterebbe a nulla. Come d’altronde è stato per tutte le CPI istituite in Ticino.”

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Questa citazione, tratta da un articolo del Corriere di giovedì, scorso, si rivolge direttamente – pur senza nominarlo – al presidente del PPD Fiorenzo Dadò, instancabile promotore e fautore di una Commissione Parlamentare d’Inchiesta sul “caso degli abusi sessuali di XY” .

Essa è stata respinta dal Gran Consiglio in autunno (PLR e PS votarono contro) e Dadò protestò con veemenza, mettendo alla gogna alcuni suoi colleghi deputati.

Nei giorni scorsi vi è stata la condanna in appello di XY, con inasprimento della pena, e questa potrebbe essere l’occasione buona per rilanciare l’articolo. Il parere di Righinetti (che non scrive certo a titolo personale) è nettamente contrario a questa ipotesi.

Le ragioni di Dadò, attivissimo in questi giorni sui social, che sa magistralmente utilizzare, sono essenzialmente le seguenti. Gli abusi sessuali sono una piaga e la politica ha il dovere di agire in soccorso alle vittime. Il caso di XY è grave e per così dire emblematico. La giustizia penale ha detto la sua parola (resta la facoltà di ricorso al Tribunale federale) ma vi sono dei punti che non sono stati chiariti, in particolare per quanto attiene a possibili protezioni politiche nell’ambiente di un noto partito. L’indagine parlamentare farebbe trionfare la verità, darebbe un esempio e indicherebbe una via alla politica – in primis al Gran Consiglio – per instaurare regole efficaci, allo scopo di aiutare le vittime e prevenire gli abusi.

Nulla di tutto ciò, ribattono a muso duro gli oppositori. La CPI – e lo si è sperimentato – non è altro che un costoso palcoscenico dove i deputati in fregola di visibilità hanno agio di esibirsi in lungo e in largo agli occhi curiosi dei media e del pubblico. Le ultime due CPI, in particolare, non hanno concluso nulla di valido, dopo interminabili e macchinosi mesi di indagine.

Soprattutto – ribadiscono i critici – la CPI non può e non deve sostituirsi all’autorità penale perché non ne ha la competenza. Qui però si potrebbe osservare (a vantaggio di Fiorenzo Dadò) che alla domanda “c’è stata protezione politica in favore del reo?” non può rispondere la magistratura dal momento che non vi è procedimento né accusa. Questa dovrebbe essere materia specifica per la CPI. Una prospettiva sicuramente indigesta per alcuni (se hanno qualcosa da nascondere).

Dadò, ammirevole alpinista, è ancor più un mastino, ma a seguito della sua azione implacabile si manifestano qua e là segnali di chiara insofferenza. Il messaggio del Corriere è netto “è ora di calmarsi”.

Basterà questo a fermarlo? Se pensate così, lo conoscete poco!