Su Napoleone si calcola che, ad oggi, siano stati scritti quarantamila volumi. Eppure, già Stendhal, suo contemporaneo, scriveva di lui “questo uomo diventa sempre più sconosciuto”, e quasi due secoli dopo Léon Bloy avrebbe concordato scrivendo che “la storia di Napoleone è la meno conosciuta di tutte le storie.” Se, dunque, come riporta lo storico (un russo!) Dimitri Merezkovskij, nel corso di duecento anni la “non conoscenza” di Napoleone cresce, dobbiamo dunque dedurre che il fondo dell’anima di Napoleone resterà sempre sconosciuto, impenetrabile, proprio perché è impossibile da valutare.

Cosa, dunque, aggiungere, all’epitaffio immenso, sancito il 5 maggio1821, quando, esattamente duecento anni fa, all’Isola di Sant’Elena, al largo dell’Atlantico, si spense Napoleone?

Merezkovskij, nel capitolo introduttivo intitolato “I giudizi su Napoleone” al suo saggio “Napoleone, l’uomo, la sua vita, la sua storia “ (1988) riporta quello di Goethe, secondo cui “Napoleone è l’immagine del mondo in iscorcio. La sua vita è quella di un semi-Dio. Si può dire che la luce che l’illuminava non mai si spense per un attimo; ecco perché la sua vita è tanto luminosa. Il mondo mai aveva visto e forse mai vedrà nulla di simile”.

Sangue e gloria, fu ciò che, a parer mio, Napoleone sparse sull’Europa. Così Edmund Rostand (Legion d’Onore per la tragedia dedicata al figlio dell’Imperatore), ne l’Aiglon fa parlare il giovane erede morente – un’aquila senz’ali – di Bonaparte: “….Io sono l’ostia espiatoria! […] Bisognava che su tanto sangue ond’è irrigua / questa pianura, io fossi l’ostia bianca ed esigua / che rinunziando e che implorando di soffrire / s’assottiglia, per tendersi e scema per salire / […Prendimi, dunque, o Wagram! Prendimi ed in riscatto / d’allor, figlio che s’offre per tanti figli, e intatto, / sul fiore de le tue fiere brume commosse / levami, bianco, o Wagram, nelle tue mani rosse!”  (Atto Quinto, Scena V).

Dalle due campagne d’Italia (sulle quali troneggia, tra tanti, il nome di Marengo), alle Piramidi, e poi Ulma, sino ad Austerlitz (la battaglia dei tre imperatori, rispettivamente d’Austria, Russia e, ovviamente di Francia), Jena, Eylau e Friedland, e poi la fatale spedizione in Russia, che a tutti lascia con una domanda sospesa: perché? Perché Napoleone, che aveva già un impero solido, una bellissima e giovane moglie che gli aveva dato l’agognato erede maschio, volle rompere con la Russia, sfidando i ghiacci eterni ed il mortifero freddo?

Avrebbe scritto Lev Tolstoj in Guerra e Pace: che cosa aveva provocato quello straordinario evento? Quali ne furono le cause? Gli storici, con ingenua sicurezza, asseriscono che le cause dell’avvenimento furono: l’offesa fatta al duca di Oldenburg, l’inosservanza del blocco continentale, l’ambizione di Napoleone, la fermezza di Alessandro, gli errori dei diplomatici e così via. […]Secondo noi posteri, che non siamo né storici né affascinati dal processo delle indagini […] i motivi di questa  guerra ci appaiono in numero incalcolabile”. (Libro III, Parte I, Cap. I).

Insomma, la caduta di Napoleone fu qualcosa che “aveva da essere”, come avrebbe scritto Victor Hugo nei Miserabili nei lunghi capitoli dedicati a Waterloo. Qualcosa di necessario e non di contingente, esattamente come la sua morte.

Paul Mathieru Laurent de l’Ardéche, uno dei primi storici bonapartisti che nel 1838 scrisse Histoire de Napoleon, così raccontò la morte di Bonaparte, in esilio, a Sant’Elena:

La notte seguente [al 3 maggio] tutta l’isola di Sant’Elena fu colta, diserta dal temporale più violento, il quale atterrò tutti gli alberi di Longwood fin dalle loro radici, e quasi dopo morto Napoleone non dovesse alcun altro uomo esser degnato di godere dell’ombra che guardava dagli ardori del sole l’imperatore nelle sue consuete passeggiate, una tale bufera diaricò e svelse perfino il salice cotanto caro a Napoleone. In tutta la dimane, che era il dì 4 maggio, continuò l’agonia, e fatto appena il giorno cinqwue, il suo corpo, fatto di ghiaccio, nunziò che la vita l’abbandonava. Nondimeno Napoleone aveva tuttavia il respiro, ma deliro non pronunziava che queste due sole parole:” Testa… Armata”. Il momento solenne approssimava, già imminente ad essere adempiuta era “l’opera inglese”; l’antica Europa poco stava a giubilarne; l’eroe della giovane Francia tocca ormai al termine della sua prodigiosa carriera; un qualche istante ancora, ed egli è morto. […] un grande avvenimento si prepara al mondo… alle sei ore meno undici minuti Napoleone non era più! […] Quando la notizia della sua morte giunse in Europa, il popolo non volle crederla vera. Il nome di Napoleone era per sì fatto modo collegato coll’idea dell’immortalità sua, che pareva non dovere, non poter essere in lui cosa di caduco e di mortale, perocché si riguardava la sua vita quale inseparabile dalla sua gloria.

Proprio la gloria, nella celebre domanda del Manzoni, consacra, ineluttabilmente, inevitabilmente, innegabilmente, il grande mito alla Storia.

Ed è proprio di memoria di cui, oggi, c’è un disperato bisogno: in un’epoca in cui l’arroganza dell’ignoranza cerca di cancellare, rinnegare e affogare la Storia, coloro che ancora mantengono saldo nel proprio animo lo scrigno che racchiude i concetti di gloria, passione, sofferenza, desiderio e onore, ricorderanno, sempre.