Foto: Meghdad Madadi

L’Iran ha scelto il suo nuovo presidente. Con il 62% di preferenze, circa il 17.8 milioni di voti favorevoli, ha vinto l’ultraconservatore Ebrahim Raisi. Subito dopo di lui, ma a notevole distanza, c’è Mohsen Rezaie, 3.3 milioni di voti, seguito da Abdolnasser Hemmati, 2.4 milioni, e infine Amir-Hossein Ghazizadeh Hashemi 1 milione.

L’avversario più importante, il moderato Abdolnasser Hemmati, ex direttore della banca centrale, si è sportivamente congratulato con il vincitore, twittando: “Spero che la tua amministrazione fornisca motivi di orgoglio per la Repubblica islamica dell’Iran, che migliori l’economia e che possa dare una vita di benessere alla grande nazione dell’Iran”. A sua volta, Raisi ha commentato: “Farò del mio meglio per migliorare i problemi della popolazione”, promettendo di fare tesoro dell’esperienza della precedente amministrazione.

Ad essere molto soddisfatto del risultato delle elezioni la Guida Suprema Ali Khamenei, proprio per la visione conservatrice del vincitore. La vittoria di Raisi non è stata di certo una sorpresa. Il Consiglio del Guardiani, ovvero l’organo che seleziona i candidati, aveva deliberatamente escluso tutti i politici riformisti più importanti che avrebbero potuto avere una concreta chance di vittoria. Tra loro anche il vice del presidente uscente Hassan Rouhani, Eshaq Jahangiri. Nonostante questo Rouhani si è congratulato con il popolo “per la scelta che ha fatto” e ha promesso di fare il possibile nei 45 giorni rimanenti del suo mandato “per lasciare una migliore atmosfera al prossimo governo”, riferendosi soprattutto alla revoca delle sanzioni USA e alla situazione pandemica.

Rouhani è stato un presidente moderato e ora la politica iraniana subirà sicuramente un cambio di rotta verso destra. Potrebbe risentirne soprattutto le già precarie relazioni con il mondo occidentale, inclusi gli Stati Uniti. Secondo gli esperti, la decisione di abbracciare una politica più conservatrice era inevitabile dopo le tensioni che si sono create durante l’amministrazione Trump.
Il profilo di Raisi non è di certo privo di macchie, infatti nel 1988 ha combattuto contro l’Iraq facendo parte delle “commissioni della morte”, che mettevano in atto vere e proprie esecuzioni di massa di migliaia di prigionieri politici.