Tullio Righinetti, già deputato in Gran Consiglio

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La caduta (che all’inizio sembrava improbabile) di questa legge chiaramente anti-liberale mette in evidenza il divario che esiste tra il parlamento e il paese reale, e anche tra i vertici del PLR e gli elettori del Partito.

La presidente Petra Gössi, promotrice della “svolta verde”, ha preso atto del voto e in 24 ore scarse ha rassegnato le dimissioni.

Il risultato di domenica 13 giugno mostra inoltre i limiti di ciò che si può ottenere con un bombardamento psicologico a tappeto. Sono potenti, sì, ma non onnipotenti.

Al centro dell’interesse politico e “sotto osservazione” è, oggi, il PLR.

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Nelle ultime settimane le quotazioni del no alla legge sul CO2 erano in crescita suscitando ottimismo in chi si è sempre rifiutato di entrate nella logica ricattatoria di questa assurda legge. Poi il vecchio adagio latino “vox populi vox dei” si è manifestato in tutto il suo realismo e buon senso nelle urne. È stata una reazione alla pressione smoderata dei movimenti per il clima e dei pecoroni che li hanno seguiti all’insegna del “guai contrastare quanto predicato dagli ecologisti, altrimenti si diventa retrò”.

CO2 Righinetti

Tutti i partiti in favore, salvo UDC e Lega e un coraggioso, documentato e convincente consigliere Nazionale del PPD in contrapposizione al suo gruppo. Con argomenti seri sono stati smontati i presunti vantaggi di un sì. L’economia svizzera, era schierata in favore con il malcelato scopo di beneficiarne finanziariamente. Le nuove normative avrebbero messo avidamente le mani nei portafogli dei cittadini, promettendo una restituzione tramite un fondo. Per accaparrarsi i favori, si prospettava una diminuzione dei premi di Cassa Malati. Inspiegabile il rapporto tra le due operazioni, irrispettoso dell’unità di materia.

Differenza risicata ha detto qualcuno, dimenticando le regole basilari della democrazia. Altri hanno prospettato norme più dure e costose per rispettare l’accordo di Parigi, ma negli ultimi dieci anni abbiamo ridotto di un quarto le emissioni di CO2, a dimostrazione della serietà svizzera. I fautori del no avrebbero avuto una disponibilità finanziaria superiore alla loro, era esattamente il contrario.  Perdono la sinistra e i verdi. Con le ossa rotte escono liberali-radicali e popolari democratici, già malmessi, che acriticamente hanno abbracciato le teorie ecologiste. Di certo l’aumento del prezzo della benzina ha avuto un peso, come i trasporti pubblici poco attrattivi in questo periodo e le valli lunghe da percorrere per arrivare sul posto di lavoro. La vettura del futuro sarà ibrida o elettrica, tuttavia non è stato risolto il problema dello smaltimento delle batterie, è un po’ come per le scorie radioattive. Senza dimenticare il riscaldamento degli immobili. Un cambiamento di mentalità è già in atto, ma esige tempo per scelte importanti. Il catastrofismo non fa breccia, i cicli della natura ci sono sempre stati e sono inevitabili.                                                                                                                                                                                                 
Il 13 di giugno, sono state determinanti alcune cifre. La Svizzera produce l’1 per mille del CO2 mondiale. Arrivasse anche a zero, nulla cambierebbe a livello del globo. È comunque giusto produrne meno, ma non penalizzando il cittadino con tasse e balzelli, tanto più in un periodo di difficoltà economiche. Interessante il confronto con la Cina, dove negli ultimi anni sono state realizzate decine di nuove centrali a carbone, in dispregio della protezione dell’ambiente. In questo paese asiatico si produce in un giorno, la medesima quantità di CO2 che in Svizzera si libera in un anno.    

Opinione pubblicata nel CdT e riproposta con il consenso dell’Autore e della testata