“Quello che voleva essere un buon compromesso in realtà era una pessima legge”
di Fabio Regazzi, consigliere nazionale PPD
Lo scorso 13 giugno il popolo svizzero ha respinto la nuova legge sul CO2. Per molti potrebbe sembrare un risultato sorprendente, se pensiamo che il Parlamento a larga maggioranza (praticamente solo l’UDC e uno sparuto gruppo di deputati, fra i quali il sottoscritto, di quelli che una volta erano considerati partiti borghesi hanno votato contro), ma pure la maggior parte delle associazioni economiche e lo stesso TCS si erano schierati a favore.
Oso invece affermare che l’esito era tutto sommato prevedibile. E non lo dico con il senno di poi, notoriamente una scienza infallibile, ma perché quello che voleva essere un buon compromesso in realtà era una pessima legge, non solo cara, ma anche ingiusta ed inefficace. Ricordo che a dare il La alla revisione era stato il Consiglio degli Stati nella sessione autunnale 2019 sull’onda delle manifestazioni di piazza a favore del clima (quando Greta Thunberg imperversava sui media fra una visita al Papa e un discorso all’ONU) e nell’imminenza delle elezioni federali. Una combinazione che ha portato i Senatori, su questi temi solitamente equilibrati, a inserire nella legge le note tasse destinate a finanziare un fumoso fondo per il clima.
La legge è poi passata al Nazionale, dove i rappresentanti del fronte rossoverde – che nel frattempo avevano visto crescere significativamente la loro presenza – hanno trovato nei partiti di centro (PPD e soprattutto PLR) due alleati insperati per condurre in porto una revisione di chiara impronta ambientalista, con il compiacente sostegno della Consigliera federale Sommaruga. Nelle discussioni all’interno del mio gruppo segnalai più volte che questa legge era stata sovraccaricata con tasse e balzelli che difficilmente avrebbero retto di fronte all’inevitabile referendum, ma il mio appello è rimasto inascoltato.
L’eterogenea coalizione a favore della legge ha così affrontato, con baldanza e una punta di tracotanza, la campagna di votazione, nella convinzione che si sarebbe rivelata una passeggiata. Così però non è stato e la resa dei conti – impietosa – è arrivata in una calda domenica di giugno, in cui il sovrano ha rimandato al mittente quello che avrebbe dovuto essere una sorta di plebiscito ma che invece ha evidenziato uno scollamento preoccupante delle istituzioni con il paese reale.
Peccato, perché se invece di farsi condizionare dall’imperante isteria climatica, e qui mi riferisco soprattutto ai partiti di centro, avesse prevalso il buon senso e la ragionevolezza, avremmo evitato di perdere anni preziosi nella lotta al surriscaldamento globale.
Ora la palla torna nel campo della politica e la speranza è che si traggano i dovuti insegnamenti. Per quanto mi riguarda, se da un lato l’obiettivo di riduzione delle emissioni rimane, dall’altro è comunque chiaro che la nuova legge sul CO2 dovrà puntare su altri elementi e in part. sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico. Tornerò su questo tema in un prossimo contributo.
Opinione pubblicata sul CdT e riproposta con il consenso dell’Autore e della testata
*****
I partiti “di centro” sembrano ipnotizzati dai verdi e si sono ormai abituati a pensarla così: se noi li copiamo facciamo un affare, perché verranno da noi.
La (dura) lezione del 13 giugno sarà servita? Se noi fossimo degli ottimisti, lo crederemmo.