di Vittorio Volpi

La recente dichiarazione di Taro Aso (Vice Primo Ministro giapponese) su Taiwan è caduta come una bomba aprendo scenari inediti e pericolosi in Estremo Oriente: “Se la Cina dovesse invadere Taiwan il Giappone si schiererebbe a fianco degli Stati Uniti per difendere l’isola”. Domanda: ma Taro Aso è la voce del paese? Le cose stanno veramente così?

Taiwan, il tempio Kaohsiung (travelphotographer, Pixabay)

Taro Aso – anche se ogni tanto straparla – non è il paese, ma la sua affermazione è sostenuta dal contenuto del comunicato recente a seguito dell’incontro a Washington fra il Premier Suga ed il Presidente Biden. Il Ministro della Difesa Kishi ha anche  dichiarato che “la pace e la stabilità di Taiwan sono direttamente connesse al Giappone”, sottolineando che la sicurezza di Taiwan è una linea rossa e quindi “il paese con la sua consolidata democrazia deve essere protetto”.

Da notare che il Giappone con la sua isola Yonaguni sono a soli 110km da Taiwan. Se la Cina ponendosi come avversario si riprendesse con la forza l’isola, potrebbe soffocare l’economia giapponese che dipende per il 70% dall’energia ed il 50% dagli alimentari che transitano per il canale di Taiwan. È ovvio che le tensioni con gli Usa hanno cambiato il senso ed il peso di una riunificazione della Cina con Taiwan e di conseguenze delle relative reazioni internazionali.

Questo quanto al Giappone, ma anche le dichiarazioni Usa per bocca di Kurt Campbell (White House Indo Pacific Coordinator) in occasione di un discorso all’Asia Society convergono sulle coordinate giapponesi. Ha premesso che mantenere pace e stabilità su Taiwan “is a dangerous balance”, un equilibrio pericoloso ed ha aggiunto, prendendo spunto dai comportamenti di Pechino (abbattere la democrazia), “come  Pechino ha fatto con Hong Kong non è un’opzione. Una simile azione nei confronti di Taiwan sarebbe una catastrofe…. c’è un grande spazio per tutti nell’Indo-Pacifico, ma pare che per il Presidente Xi gli spazi non bastino.”

La mossa coordinata quindi fra Washington e Tokyo dà del filo da torcere ai mandarini di Pechino. Come siamo arrivati a questo punto con Taiwan? Perché è diventato un problema pericoloso?

Dobbiamo ripercorrere il corso della storia dal 1972 e partire dall’incontro storico fa Nixon e Mao a Pechino. Nacquero accordi definiti in seguito di “ambiguità strategica”. La Cina popolare veniva riconosciuta dagli Usa, (Giappone incluso) come l’unica Cina, ma secondo lo studioso Sisci, c’era anche il riconoscimento di Pechino di un’indipendenza di fatto di Taiwan.

Ciò comportava che il governo di Taipei non avrebbe più avuto accessi agli armamenti (Usa) come prima e nessuna garanzia di un totale impegno americano in caso di attacco da parte di Pechino. La Cina accettava che non avrebbe calcato la mano con tentativi di riunificazione attuati con la forza. Come sappiamo le cose da allora sono profondamente cambiate, la Cina è avviata a diventare la prima economia del mondo, a tallonare gli Usa nel militare, nelle tecnologie ed è dominata dal Partito-Stato, potente. Pechino godeva con Hu Jintao di una leadership collettiva più morbida e flessibile, mentre con Xi  si è percepita una nazione più assertiva su più fronti: Hong Kong, Uiguri, confini indiani , isole che non gli appartengono, Australia.

Troppo, e come si suol dire, “il troppo stroppia”. Intanto a Tokyo hanno capito che la Cina non si può contenere. Bisogna quindi escogitare una nuova strategia. Cosa complessa perché la Costituzione giapponese prevede solo le Forze di Autodifesa (SDF)che non possono essere usate all’estero. Ma l’ex primo ministro Abe ha portato a termine una modifica, diciamo una nuova interpretazione, per cui le SDF possono  combattere anche all’estero se si tratta di “difesa collettiva”, in altre parole, i giapponesi possono combattere non solo per la loro difesa diretta, ma anche per difendere un paese alleato da un attacco dei cinesi.

Nella fattispecie, una eventuale invasione cinese di Taiwan, si configurerebbe come casus belli per Tokyo.

È comprensibile la delicatezza delle dichiarazioni di Tokyo nel contesto delle tensioni con Pechino che vorrebbero il ritorno della “provincia ribelle”, Taiwan, “anche con la forza” nell’alveo della Madre Patria.

La mossa Usa-Giappone su Taiwan in conclusione, e a mio giudizio, non equivale ad uno scacco matto a Pechino, ma certamente un forte tentativo di Biden di sparigliare la partita che volgeva  decisamente a favore di Pechino.

Il problema è che la mossa nippoamericana spinge i due contendenti vicini ai fili dell’alta tensione.