di Lelia Guscio, già consigliera comunale LdT

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E’ notizia degli ultimi giorni che, dopo le ferie dell’edilizia, inizieranno i lavori per la realizzazione del centro per prima accoglienza di Bellinzona, casa Marta. Il comunicato, reso noto con soddisfazione dalla Fondazione Casa Marta, mi fa piacere ma credo sia opportuno puntualizzare alcuni fatti antecedenti.

Il progetto di Casa Marta fu presentato all’inizio del 2015 e consisteva nella creazione, in zona stabile ex-Ostini a Bellinzona, di un centro per ospitare senzatetto, anziani in stato di precarietà, mariti allontanati da casa e persone in assistenza.

In data 9 novembre 2015, il Consiglio comunale approvò il messaggio municipale (che prevedeva un contributo a fondo perso di 200’000 franchi oltre ad aiuti indiretti per 833’000 franchi e la concessione in diritto di superficie della durata di 50 anni). Malgrado il preavviso negativo della commissione della gestione, il risultato della votazione fu di 36 voti favorevoli, 13 contrari e un astenuto.

Seguì poi un ricorso da parte dei confinanti dell’edificio, respinto successivamente dal Consiglio di Stato.

A fine del 2016 il progetto poteva dunque partire, ma poi trapelò la notizia che il preventivo di spesa era lievitato da 3 a 4.4 milioni, ora 4.5 milioni, a causa delle pessime (per usare un eufemismo) condizioni dell’edificio. La Fondazione si ritrovò così ai piedi della scala e costituì, per raccogliere ulteriori fondi, un gruppo di sostegno con personalità provenienti da vari ambiti, da quello politico a quello religioso, socio-sanitario e culturale. La raccolta fondi però non raggiunse gli scopi prefissati e fu necessario far capo al Cantone (400’000 franchi) e al Comune con la richiesta contenuta in un nuovo messaggio, auspicato dalla commissione della gestione in quanto il progetto iniziale aveva subìto marcate modifiche.

La Lega dei Ticinesi di Bellinzona riconosce i bisogni sociali, in particolar modo in questo triste periodo di crisi sanitaria ed economica nazionale, e concorda con l’esigenza di poter disporre, oltre a Casa Astra a Mendrisio e Casa Martini a Locarno, di un centro di prima accoglienza nella capitale.

Tuttavia, il gruppo Lega/UDC si oppose di nuovo al progetto per gli stessi motivi che portarono alla bocciatura del primo messaggio municipale. Nella fattispecie, l’impegno finanziario appariva sproporzionato rispetto all’investimento complessivo, e forse lo sarà ancora considerata la valutazione approssimativa; i lavori di ristrutturazione, ancora legati ad incertezze dovute ad imprevisti visto lo stato dell’edificio; la sotto-dotazione delle camere allora (previste una ventina, ora si legge sulla stampa che i posti letto saranno verosimilmente 32) a fronte di 200 domande annue).

Mi preme sottolineare che, malgrado la licenza di costruzione fu rinnovata nell’aprile 2019, le modifiche intercorse non sembrano affatto minime, come sostiene la Fondazione. Alzare il tetto di 50 centimetri come previsto nel progetto iniziale, poi stralciato nel nuovo progetto, non è sicuramente un dettaglio. La questione dell’ubicazione ha, inoltre, sollevato alcune perplessità: un’ubicazione alternativa, a differenza di ciò che ci è stato comunicato, poteva essere individuata. Forse non sarebbe stata in centro a Bellinzona, certo, ma considerata la capillarità del trasporto pubblico, con corse aggiuntive in tutti i quartieri cittadini, la giustificazione del Municipio non regge. Almeno un tentativo di interpellare gli altri 12 quartieri avrebbe dovuto essere fatto.

In conclusione, è mio compito precisare quanto segue: la stampa riporta che politici locali hanno osteggiato il progetto in quanto il centro ‘non sarebbe stato altro che un ricettacolo di tossici’. Il presidente della Fondazione Casa Marta, intervistato dalla RSI, ribadisce che alcuni politici hanno contribuito all’enorme ritardo dell’inizio dei lavori. Queste affermazioni non corrispondono al vero: innanzitutto, non mi risulta che politici abbiano fatto riferimento a tossicodipendenti e, in secondo luogo ma altrettanto importante, la vera ragione del ritardo è da attribuire alla ricerca di fondi, che la Fondazione ha faticato per ottenere. E’ pertanto imperativo fornire un’informazione corretta ai cittadini e non condirla di dicerie e congetture.