di Vittorio Volpi

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Ai giorni nostri i giochi olimpici come molte altre cose importanti hanno perso di gravità. Viviamo un attimo della nostra vita, i nostri tempi, dove abbiamo così tante cose intorno a noi, bombardati dalle notizie ed assediati dai media che si finisce con il perdere spesso il senso delle cose ed il loro perché.

A proposito delle Olimpiadi apprendiamo che nel mondi c’è un forte calo nel seguito televisivo, mentre sono in forte ascesa invece in Giappone, contrariamente al forte scetticismo nipponico iniziale. La crisi di audience è forse dovuta ai fusi orari (+7h per noi) che scombinano la possibilità di vedere le varie discipline in diretta. Detto ciò, gli eventi sembrano andare bene, in modo ordinato e si vede anche ottimamente organizzati dai nostri amici giapponesi che in materia non sono mai inferiori a nessuno. Basti ricordare la loro bravura ad organizzare i QC –  Quality Circle (circoli di qualità), il just in time, il lean production (produzione snella) il Kamban (metodo costante di reintegrazione delle materie prime). Tutte loro innovazioni.

Nelle circostanze del Covid galoppante le capacità organizzative si apprezzano di più. Dopo 10 giorni dall’accensione della fiaccola si può dire che tutto fila liscio. Non altrettanto per quanto riguarda la diffusione del Covid. Oggi, 4 agosto, leggevo circa 12 mila casi nel paese che conta 126 milioni di abitanti e circa 4 mila contagiati nelle ultime 24 ore nella sola Tokyo. Il Giappone non fa altrettanto bene come nelle fasi precedenti e non si vedrà l’ora che tutto finisca per serrare ancora di più le fila e probabilmente tenere chiuse le frontiere.

Tornando alle Olimpiadi ed alla loro bellezza, brillano per la loro utilità, ovvero far incontrare i migliori atleti dei 205 comitati olimpici del mondo. Tranne per le note vicende legate alla Russia che partecipa sotto la sigla Roc.  

Forse pochi sanno come nacquero e per opera di chi. Il merito è di Pierre de Frèdy, barone di Coubertin (Parigi 1863-Ginevra 1937) che è stato dirigente sportivo, pedagogista e storico francese. Il suo progetto nacque durante la visita a college ed università britanniche ed in particolare dal rugby di cui fu grande appassionato. Capii che lo sport e la competizione sportiva sarebbero state di grande utilità personale per i giovani del mondo.

Concepì quindi una competizione internazionale per i giovani per promuovere l’atletica, da sempre il cuore delle Olimpiadi. A quelle greche seguirono Parigi nel 1900 e con difficoltà St.Louis. De Coubertin continuò a guidare i progetti olimpici (CIO) fino al 1924 e qui si ritirò a vita privata. 

Di lui ci è rimangono alcuni sani concetti come “lo spirito olimpico non è né la proprietà di una razza né di un’era” ed anche “tutti gli sport per tutta la gente”. Un grande che capì la potenza dei giochi per la convivenza fra gli uomini del mondo uniti dalla competitività, ma basata sulla lealtà. Ecco lo spirito olimpico che però spesso come in altri ambiti della vita è inquinato da motivazioni politiche (potere, prestigio, lobbying) che le devastano. L’avere allargato ad esempio le discipline, fra poco vedremo anche il bowling o la briscola o scala 40, non è un bene per il movimento e nemmeno questa spinta al politically correct che infastidisce assai.

I lati positivi per fortuna sono molti come il vivere insieme degli atleti, conoscersi fra culture diverse, sostenersi fra di loro senza pregiudizi. Mi ha molto commosso vedere un latino ed un mediorientale condividere la medaglia d’oro nel salto in alto e rimanere abbracciati a lungo come fratelli, oppure veder soccorrere un’atleta caduto ed ammirare anche l’incredibile bravura di tuffatori e tuffatrici con le loro triple capriole, i loro carpiati. Cose incredibili ed impensabili che l’uomo con cervello, forza, passione, sacrificio e spirito usa per competere.

Senza dimenticare come scrisse de Coubertin “l’importante nella vita non è solo vincere, ma aver dato il massimo. Vincere senza combattere non è vita..” : non basta quindi solo esserci…..

Parole sante!

V.Volpi