di Francesco Pontelli, economista

ilpattosociale.it

Il nostro Paese sta conoscendo sempre più frequentemente gli esiti di eventi meteorologici spesso drammatici non solo per l’intensità crescente degli stessi ma anche a causa della mancanza di programmazione e di investimenti infrastrutturali precedenti finalizzati a mitigarne gli effetti. Una situazione talmente paradossale in quanto gli investimenti in sicurezza territoriale risulterebbero molto inferiori ai successivi interventi di finanza straordinaria alle quale gli enti statali e locali si trovano obbligati a porre in essere con l’obiettivo di mitigarne i devastanti effetti per la popolazione.

Questo approccio suicida, purtroppo, trova ora la propria corrispondenza anche all’interno della politica economica e strategica del governo in carica. Nonostante le “risibili” affermazioni di un tale Di Maio relativamente alla risoluzione della vicenda Whirlpool la compagnia statunitense ha confermato la volontà di delocalizzare in Repubblica Ceca la produzione a basso valore aggiunto. Una decisione terribile in considerazione dell’impatto sociale ma motivata anche dal semplice confronto tra i costi della burocrazia italiana la quale pesa tre volte quella ceca per unità di prodotto.

Le crisi relative ad aziende una volta padronali, e per questo indicate come insostenibili dalla intelligentia accademica, ora sono passate a fondi privati i quali senza alcun timore chiudono quei siti produttivi lontani dai mercati di sbocco come sta avvenendo nella filiera della Automotive a causa anche della svolta elettrica europea.

In questo contesto la scelta del governo Draghi di imporre una prelievo del 2% sul fatturato ad un’azienda multinazionale che volesse chiudere il sito produttivo nel nostro territorio e l’obbligo di preoccuparsi della riallocazione dei lavoratori rappresenta un vero e proprio “suicidio assistito” in ambito economico. Invece di analizzare le cause relative alle scelte di chiudere determinati siti produttivi sul nostro territorio si preferisce imporre un’ulteriore “garrota burocratica” la quale implicitamente assolve da ogni responsabilità la classe politica e dirigente italiana in relazione alla disastrosa macchina burocratica e della Giustizia italiana. Queste due rappresentano la vera motivazione per cui o le aziende chiudono siti produttivi dislocati sul territorio o evitano di investire risorse per allestirne di nuovi. In altre parole viene abbandonata la scelta di tutelare il Made in Italy supportandolo anche fiscalmente attraverso una “fiscalità di vantaggio” con l’obiettivo di facilitare la riallocazione della  produzione una volta all’estero assecondando così una tendenza relativa alla riduzione della filiera già in atto (05.03.2020 https://www.ilpattosociale.it/attualita/made-in-italy-valore-economico-etico-e-politico/). Viceversa viene adottata la strategia, accecati da un vulnus ideologico, di impone un ulteriore aggravio burocratico ed economico tale da rendere il nostro Paese ancora più lontano ed attrattivo per gli investimenti esteri.

Esattamente come avviene per la politica ambientale, nella quale si preferiscono interventi di finanza straordinaria per riparare ai mancati investimenti a tutela del territorio, ora si utilizza il medesimo degrado  ideologico identificabile in “una fiscalità di svantaggio” la quale avrà l’unico effetto di rendere il nostro Paese ancora meno attrattivo per gli investimenti esteri e, di conseguenza, da rendere ancora più debole il supporto al Made in Italy che rappresenta la nostra vera ed unica forza industriale.

Attraverso la semplice analisi costi/benefici emerge evidente come raramente una iniziativa governativa abbia raggiunto un livello così miserevole nella strategia economica.