di Tito Tettamanti

È troppo presto per emettere giudizi fondati sulle mutazioni che la COVID originerà nella società. Sia nella vita familiare, sia sul lavoro, a proposito delle paure che resteranno o meno e di conseguenza i riflessi sull’economia, dai rapporti nelle attività lavorative a quelli nell’ambito dell’economia fondiaria, da quelli nei trasporti, dal mondo dei pendolari alla richiesta di viaggi d’affari o per turismo.

Fonte di notevole preoccupazione sono lo squilibrio nei rapporti tra cittadini e Stato, il preoccupante sviluppo dell’interventismo statale aggravato dall’eliminazione del controllo democratico, giustificata dall’emergenza. Il problema della salute ha fatto passare in seconda linea la difesa delle proprie prerogative civiche, della possibilità, anche per ragioni pratiche e di urgenza, del coinvolgimento del Paese.

Questo pericoloso, anche se e momentaneamente giustificato autoritarismo, questa eliminazione di iter istituzionali e coinvolgimento popolare, costituiscono un’umana tentazione per chi ha le leve del potere lieto di poterle utilizzare senza ostacoli. Nel contempo comporta un pesante aumento della statalizzazione, un pericoloso squilibrio nella nostra realtà di democrazia semi- diretta.

Il Fondo monetario internazionale in uno studio sulle ripercussioni sociali delle pandemie esprime preoccupazioni, teme persino che seguano disordini sociali. Ipotizza dissesti al momento in cui agli interventi e sostegni governativi verrà messo fine. Molte aziende sopravvissute grazie ai contributi pubblici potrebbero fallire con il relativo impatto sul mondo del lavoro.

Lo studio enfatizza il ruolo delle epidemie per successivi disordini sociali e cita casi nella Storia. Le riflessioni mi sembrano però estreme e i paragoni storici che risalgono a Giustiniano (482–565) molto lontani nel tempo. Di attualità e non rimandabile per contro è l’esame della reazione dell’economia di questi ultimi mesi.

Con l’aumento delle vaccinazioni, i progressi verso l’auspicata immunità di gregge, divieti statali scaduti o perlomeno molto allentati, assistiamo ad un boom economico che induce a chiederci se sarà consistente e con un futuro, o passeggero.

Una prima perplessità viene da indici che indicano un preoccupante aumento dell’inflazione. Negli USA siamo ormai sopra il 5%, in Inghilterra oltre il 4% e gli altri Paesi europei dovrebbero seguire nel tempo. L’inflazione è una brutta bestia e la si auspica su livelli modesti, le banche centrali parlano del 2% per evitare l’ancor più temibile deflazione. Approfittano dell’inflazione i debitori e quindi gli Stati grandi debitori che rimborsano (e non sempre lo fanno) i prestiti con moneta svalutata. Ma non il consumatore americanoche qualche mese fa faceva il pieno di 60 litri di benzina con 28 dollari, mentre oggi ne deve sborsare 36.

L’improvvisa impennata dell’attività imprenditoriale ha purtroppo originato intoppi sia nelle forniture sia nei trasporti. L’impossibilità di ricevere componenti dei propri prodotti ha creato dannosi ritardi nella produzione e nella fornitura, ad esempio nel settore automobilistico, accompagnati dall’ingorgo nei trasporti (rincarati esorbitantemente) specie dall’Asia.

Preoccupa un mercato del lavoro tanto in America quanto in diversi Stati europei con un tasso di disoccupazione ancora elevato e contemporaneamente difficoltà specie nelsettore manifatturiero e quello della ristorazione di reperire collaboratori.

Generose indennità di disoccupazione (ad esempio i 300 dollari settimanali supplementari negli USA) originate dalla COVID permettono redditi dello stesso livello senza necessità di lavorare. In Italia il reddito di cittadinanza viene versato solo a chi non lavora, ciò che non incentiva. Vi è pure il cambiamento nella società del valore dato al lavoro una volta espressione di orgoglio e dignità.

I pericoli d’inflazione preoccupano le banche centrali. Pur avendo cambiato il limite del tasso ideale da sotto il 2% ad attorno e anche leggermente superiore si rendono conto che, se permangono gli odierni livelli, non potrebbero continuare le attuali politiche di immissione mensile sul mercato di miliardi e contemporaneamente il mantenimento dei tassi sotto zero.

La Fed ne prevede l’aumento per il 2023, riservate anticipazioni. La Banca centrale europea che dall’inizio della pandemia ha immesso sul mercato 1.850 miliardi di euro, oltre a prestiti di miliardi al sistema bancario, si dimostra forzatamente ottimista.

Biden propone investimenti negli USA per 8 mila miliardi di dollari, l’UE più modestamente emette 800 miliardi di euro per il Recovery Fund. Azzardato affermare che tali politiche avranno effetto inflazionistico?

Le banche centrali con una somma complessiva di bilancio di 28 mila miliardi di dollari (non considerate le nazioni emergenti), l’assunzione di funzioni che spetterebbero a politici e Governi, si troveranno in una situazione estremamente delicata tra il salvataggio di una politica passata volta ad aiutare Stati con eccessivo debito pubblico e la lotta ad un’inflazione che svaluterebbe i debiti con sollievo dei debitori (Governi compresi) ma destabilizzerebbe l’economia mondiale.

Non facciamoci illusioni: non ci attendono, dopo questa pandemia, i «folli anni ’20», quelli seguiti alla guerra ’14-’18 e alla «spagnola », mitizzati dal grande Gatsby e dal Cotton Club. Passata l’ubriacatura non avremo solo mal di testa.

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata