L’esercito sudanese ha arrestato politici di spicco dichiarando lo stato di emergenza. Il capo militare del Consiglio sovrano che assiste alla transizione e la condivisione del potere in Sudan, il generale Abdel Fattah al-Burhan, ha lanciato un colpo di stato affermando che le lotte intestine tra le parti militari e civili stavano minacciando la stabilità del paese.

Il primo ministro Abdalla Hamdok, ex diplomatico delle Nazioni Unite, è stato arrestato dai soldati durante la notte e trasferito insieme alla moglie in una località sconosciuta dopo aver rifiutato di rilasciare una dichiarazione a sostegno del golpe. Oltre ad Hamdok, sono stati arrestati tutti i membri del gabinetto e diversi esponenti politici.

Al diffondersi della notizia, le forze armate si sono dovute concentrare nella capitale Khartoum per contrastare un gran numero di manifestanti scesi per le strade per protestare al quartier generale dell’esercito vicino al ministero della Difesa, chiedendo il rilascio dei leader civili.

Le immagini sui social, mostrano grandi folle di persone marciare verso il centro della città con il suono degli spari delle forze militari di sicurezza e delle forze paramilitari mentre aprono il fuoco con proiettili veri sui manifestanti. Diversi gli scontri dove sono state segnalati alcune vittime e oltre un centinaio di feriti.

Il generale al-Burhan, il più anziano del paese, si è affrettato ad annunciare con un messaggio televisivo, lo stato di emergenza dovuto allo scioglimento il governo promettendo elezioni democratiche per formare un nuovo governo. Ma la transizione democratica dopo 30 anni di governo militare, pare sia soltanto una maschera. Questo era già evidente con la rivoluzione del 2019, che ha messo fine a decenni di governo autocratico e militare con la caduta del leader Omar al-Bashir, che aveva preso il potere con un colpo di stato organizzato dai militari nel 1989. Il Sudan è instabile proprio dopo la perdita del potere dell’ex ufficiale militare Omar al-Bashir, considerato leader autoritario e presunto criminale di guerra, successivamente processato e imprigionato.

Dal 2019, i militari hanno sempre presidiato e tenuto d’occhio i movimenti ribelli del paese mentre discutevano con gli studenti fuori delle università della possibilità di democrazia. Le crescenti proteste avvenute nel corso di diversi mesi, che furono innescate a causa dall’aumento del costo della vita e la fine dei sussidi, furono risolte con un caotico compromesso concordato da attori militari e civili per una transizione democratica supervisionata da un Consiglio supremo che comprendeva generali e politici atti ad accertare il processo di cambiamento.

Questo ha causato una lunga competizione e tensione tra i vari attori sudanesi, cioè tra partiti politici, esercito, milizie, gruppi ribelli locali e coloro che hanno una visione più islamista del paese. Tensione che è arrivata al culmine nelle ultime settimane, sfonciando nel tentato di colpo di stato di un mese fa, quando le fazioni che sostenevano gli interessi dei militari e quelle invece a favore della democrazia hanno cominciato a scontrarsi per le strade.

È per questo che il generale al-Burhan, percependo l’indebolimento delle forze armate in questo processo di transizione, si è mosso arrestando tutte le figure civili al governo.

Una notizia che ha allarmato tutti gli Stati occidentali, perché rappresenta una battuta d’arresto per il paese e per la sua fragile pace. Gli aiuti internazionali potrebbero essere a rischio se i militari prendessero il sopravvento, e il Sudan non può certo permetterselo con i livelli record di inflazione che si ritrova e con la grande carenza di beni di prima necessità.