Con “Once Upon a Time in Hollywood” e “Ultima notte a Soho” tornano gli anni ’60/’70 sul grande schermo
Nel 2019 Quentin Tarantino presentò il suo terzo film col quale concludeva “la saga del revisionismo storico” (dopo The hateful nine e Bastardi senza gloria), il capolavoro all’insegna dell’ucronia Once Upon a Time in Hollywood, nel quale un’ineffabile Sharon Tate, interpretata dall’iconica Margot Robbie, veniva restituita ad un destino meno avaro e crudele di quello toccato, nella realtà, alla moglie incinta di nove mesi di Roman Polanski, grazie all’intervento dei personaggi di due attori falliti, interpretati da gli altrettanto emblematici Brad Pitt e Leonardo Di Caprio.
A cinquant’anni dalla strage di Cielo Drive, hippie debosciati e attori di una Hollywood ripresa dall’interno, venivano restituiti al grande pubblico, con un ritratto tanto impietoso quanto realistico.
Su una soundtrack completamente anni ’60-’70, gli attori diretti da Tarantino fanno così rivivere quell’epoca ormai lontana, per molti già mito.
Sul filone della Sixties mania, si pone, in questo 2021, anche Edgar Wright che con Ultima notte a Soho alza per gli spettatori il sipario sulla Londra del 1965. Come Tarantino, anche Wright reinterpreta il cinema, ma tanto il primo lo fa coi mostri sacri (che solo lui può manipolare) facendo così rivivere Bruce Lee, Sergio Leone, Roman Polanski, I Mamas I papas e via dicendo, tanto Wright porta sullo schermo attrici dimenticate, mai esistite, che sono tutte, e nessuno. Con esse lancia Anne Joy Taylor, 25 anni, sudafricana, capelli tinti di biondo e occhi neri, corpo florido e in carne, nuova musa del cinema attuale, anche se la cooprotagonista Thomasin McKenzie mostra un talento davvero non sottovalutabile.
In Ultima notte a Soho, una ventenne studiosa di moda, si ritrova catapultata dalla morigerata Cornovaglia in una caotica e degenerata Londra e sogna così i valori degli anni ’60. Catapultata indietro nel tempo, scopre lo squallido retroscena di una sua coetanea speranzosa di successo, obbligata, in realtà, a prostituirsi, sino a quando il peggio sta per accadere.
Tanto l’ucronia di Tarantino quando la distopia di Wright cavalcano la nostalgia dei “nostri anni ‘20” per gli anni ’60-’70, dove tutto sembrava possibile, ma nei quali non tutto andò come avremmo voluto. E quindi c’è chi si permette di cambiare il finale, perché può farlo.