A photo taken on November 1, 2011 shows the logo of the Swiss banking giant Credit Suisse in Zurich. Credit Suisse said on November 1 that third-quarter net profit rose 12 percent from a year ago to 683 million francs (562 million euros, 776 million US dollars), but said it would cut staff by three percent. AFP PHOTO / FABRICE COFFRINI (Photo credit should read FABRICE COFFRINI/AFP/Getty Images)

Il Credit Suisse era già rimasto impigliato negli scandali del fondo Archegos Capital Management, una società di investimento privata di proprietà di Bill Hwang (accusato nel 2012 di insider trading e manipolazione del mercato), andata in default il 26 marzo 2021, e di Greensill Capital, società di servizi andata in stato di insolvenza l’8 marzo 2021, mettendo a dura prova la sua reputazione con una perdita di quasi 5 miliardi di dollari.

Inoltre alcuni recenti rapporti dettagliati emersi davanti la Corte penale federale svizzera, hanno messo in evidenza che più di una dozzina di dirigenti senior, compreso l’ufficio legale, hanno autorizzato transazioni bancari nel periodo tra il 2004 e il 2008 per milioni di euro, malgrado fossero a conoscenza del fatto che un gruppo di clienti bulgari erano considerati potenzialmente clienti criminali perché coinvolti in un traffico di droga.

Credit Suisse, fondata nel 1856, è la prima banca svizzera accusata di un reato penale, e si sta difendendo con forza dalle accuse insistendo sul fatto che nonostante i suoi sforzi per valutare i clienti, i pubblici ministeri non avevano ordinato di bloccare i fondi. Le autorità svizzere hanno contattato per la prima volta la banca nel giugno 2007, ordinandole di conservare tutti i registri dei loro affari a causa di un’indagine penale. Soltanto due mesi dopo il Ministero pubblico ha ordinato alla banca di congelare tutti i conti, ma a quel punto il gruppo bulgaro aveva già prosciugato tutti i conti per quasi 10 milioni di euro.

Purtroppo non ci fu nessun impulso interno alla banca per indagare in modo indipendente meglio sulla clientela, ed ogni transazione è stata approvata dalla gerarchia del Credit Suisse. 

Ora, proprio mentre l’istituto elvetico sta tentando di fornire nuove prospettive commerciali agli investitori in mezzo a tutti questi problemi, sono emerse nuove accuse nei suoi confronti che mettono in discussione il segreto bancario. Uno dei pilastri più importanti della finanza svizzera.

Una grande fuga di dati pubblicata domenica, estremamente delicata e discutibile, è stata fornita a diversi giornalisti e a 48 media internazionali. Riporterebbe sostanzialmente il fatto che per decenni, a partire dagli anni ’40, il Credit Suisse avrebbe gestito come “porto sicuro” il denaro di dubbia provenienza dagli affari di clienti criminali.

È un’indagine, che comprende più di 18 mila conti bancari per un valore complessivo di 100 miliardi di Euro, iniziata quando una fonte anonima ha condiviso dati bancari con il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung più di un anno fa, affermando che le leggi svizzere sul segreto bancario sono “immorali”.

La nuova accusa, rappresentativa di un’acquisizione parziale degli 1,5 milioni di clienti, arriva in un momento in cui la banca è in grave difficoltà e potrebbe rappresentare l’ultima battuta d’arresto per una banca diventata l’anello più debole della finanza svizzera. Sembra un attacco inconsueto.

Si parla dell’ex presidente del Kazakistan Nursultan Nasarbajew, del re della Giordania Abdullah II e del viceministro dell’Energia del Venezuela Nervis Villalobos. Numerosi trafficanti e spacciatori di cocaina, dittatori, trasgressori dei diritti umani e uomini d’affari che erano stati sanzionati, un capo spia yemenita implicato nella tortura, i figli di un uomo forte azerbaigiano e diversi burocrati accusati di saccheggiare la ricchezza dei propri paesi.

Il Credit Suisse ha respinto fermamente le ultime accuse e le insinuazioni sulle presunte pratiche commerciali della banca, affermando che molte delle questioni sollevate sono risalenti a più di 70 anni fa. Alcuni resoconti, tra l’altro, si basano su informazioni parziali, imprecise o selettive estrapolate dal contesto che danno luogo a interpretazioni tendenziose della condotta dell’istituto.

Il 90% di quei conti chiamati in causa, sono stati chiusi prima che la stampa si avvicinasse, di questi il 60% sono stati chiusi prima del 2015.

“Tra i restanti conti attivi, siamo sicuri che siano state adottate adeguate due diligence, revisioni e altre misure relative al controllo in linea con il nostro quadro attuale”, ha dichiarato il Credit Suisse in un comunicato stampa, aggiungendo che “Continueremo ad analizzare le questioni e ad adottare ulteriori misure se necessario”.