Conseguentemente all’interruzione delle negoziazioni sono apparsi importanti inconvenienti per l’economia
nei rapporti di affari bilaterali tra UE e la Svizzera. In modo particolare per la certificazione di prodotti della tecnologia medica. A breve si potrebbero constatare altri peggioramenti nei rapporti ad esempio nel settore della costruzione meccanica. A lungo termine non si esclude il verificarsi di danni strategici che si rifletterebbero sul dinamismo della regione economica europea, eventualità che si dovrebbe evitare.
Molte piccole, medie ma anche grandi imprese tedesche e svizzere intrattengono da anni intensi rapporti economici. Con un comune commercio estero di oltre 101 miliardi di euro nel 2020 la Germania il più importante
partner economico della Svizzera. Per l’UE la Svizzera il quarto più importante partner commerciale. Considerando gli investimenti diretti dall’estero verso l’UE la Svizzera nel novero dei primi cinque Paesi. Con 1,4 milioni di cittadini europei e circa 344.000 frontalieri in Svizzera i rapporti bilaterali hanno una particolare importanza in relazione alla politica concernente il mercato del lavoro e ad esempio nella ricerca. Per tale motivo   di particolare interesse per l’economia tedesca che i tradizionali ottimi rapporti con il vicino del sud vengano mantenuti e rafforzati.
Quanto avete letto sinora è la traduzione della parte iniziale della presa di posizione sul tema partenariato con la Svizzera pubblicato dal BDI (Bundesverband der Deutschen Industrie e.V.), l’importante ente che rappresenta gli interessi degli industriali germanici. Il testo completo   di tre pagine e per correttezza preciso che non tutti i passaggi sono totalmente condivisibili come quelli sopra menzionati. Ma non entro nel dettaglio delle considerazioni degli industriali germanici alle quali ha fatto seguito intelligentemente la decisione delle autorità  competenti del Paese di accettare la certificazione svizzera per i prodotti della tecnologia medica, in barba alle impuntature di Bruxelles che cerca ancora di mettere il bastone nelle ruote. Quello che qui voglio sottolineare è l’abisso tra l’atteggiamento dei singoli Paesi dell’UE nei confronti e nelle trattative con la Svizzera e quello glacialmente burocratico, quando non di meschine rappresaglie, di Bruxelles. La ragione è evidente e facilmente comprensibile.
Quando trattiamo con le singole nazioni trattiamo con rappresentanti di interessi anche in collisione con i nostri, ma abbiamo il medesimo approccio trovare con la necessaria duttilità una comune soluzione (non imposizione), il modo migliore per convivere e prosperare. Gli interessi possono essere in conflitto ma la mentalità e la necessità  di trovare l’accomodamento sono simili. Per contro, lo scopo del burocrate di
Bruxelles   il rispetto del paragrafo, la predominanza della visione concettuale e la costruzione della struttura. L’UE non ha diretti interessi economici, non produce né scambia nulla, il suo è il linguaggio del potere burocratico rispetto a quello dell’esigenza concorde dello sviluppo economico dei singoli Paesi.
Non facciamoci troppe illusioni in conseguenza alle buone intenzioni degli industriali germanici, non avranno nessun reale effetto su chi a Bruxelles ragiona non una mentalità diversa e indifferente agli interessi economici delle singole nazioni. Per sfortuna nostra oltretutto il rappresentante dell’UE nei rapporti con la Svizzera  è per origine e studi fra i più distanti concepibili dalla nostra mentalità.
È il signor Maroš Sefčovič, cittadino slovacco, commissario UE, la cui formazione culturale non lo ha certamente preparato per il colloquio democratico e la comprensione della democrazia diretta.
Ha avuto il privilegio (a quei tempi), forse perché figlio di un importante oligarca del comunismo cecoslovacco di allora, divenir accettato per i suoi studi universitari all’Istituto delle relazioni internazionali di Mosca, vale a dire la scuola esclusiva dove il Partito comunista formava la futura massima classe dirigente. Una scuola di alto livello ma anche particolarmente esigente nella formazione del carattere. Durante i cinque anni passati a Mosca ha chiesto di venir ammesso quale membro del Partito comunista
della Cecoslovacchia. Dopo due anni, approfondite le sue cognizioni di marxismo-leninismo, ne1 1989  è stato accettato. Sfortunatamente per lui, il vento è  cambiato proprio in quei tempi e con il vento penso abbia cambiato anche il suo orientamento politico.
Niente di grave, suo legittimo diritto di cercare di diventare un buon democratico. Ciò che però preoccupa  è che la sua formazione, la sua forma mentis, il concetto di autorità  entratagli a suo tempo nel DNA lo rendano poco idoneo a capire una realtà democratica, certo complessa come la nostra, nella quale nella quale
l’ultima parola  è al popolo.
L’atteggiamento categorico avuto nel colloquio con il consigliere federale Cassis, l’imposizione di termini entro i
quali la Svizzera deve fare delle proposte, non è arroganza come la intendiamo noi, è l’atteggiamento dell’alto funzionario di formazione sovietica nei confronti di un Paese satellite (o presunto tale). Ci spiace per Cassis, ma lo
sforzo più  importante sarà  quello di far capire al commissario Sefčovič come funzionano la Svizzera e il suo popolo. E per l’impegno non avrà  tempo cinque anni come Mosca.