Quel giorno avevo da poco compiuto 6 anni. Avendo una buona memoria, anche visiva, ricordo che fu un giorno indimenticabile. Abitavo in un paesotto vicino a Milano, Cuggiono, di cui sono cittadino onorario. Circa 5 mila abitanti, qualche fabbrica, molta agricoltura e “paese bianco”. Con ciò voglio dire che era un feudo dei preti. L’arciprete Castiglioni era il classico “non c’è foglia che lui non voglia”. Tutto passava dalla Chiesa per la quale io ero sull’albo nero. Da bambino avevo la colpa di vivere con uno zio, noto per essere il più antifascista  e comunista di Cuggiono. Io purtroppo ero orfano di guerra essendo mio papà Angelo morto sul fronte russo nel ’42 e con mia mamma e mia sorella avevamo dovuto “sfollare”, così si diceva, da Milano costantemente sotto i bombardamenti dal 1943, coincidente con il cambio di casacca italiano. Da alleati a nemici della Germania nazista.

Negli ultimi giorni prima del 25 aprile i tedeschi della Wermacht se ne erano andati con il sollievo di molti ed anche della mia famiglia. Con il ritiro dei tedeschi però, a noi veniva a mancare una fonte di sostentamento, infatti la Wermacht era acquartierata nello stabile della scuola, proprio di fronte a casa mia ed alla sera offriva ai civili il rimanente del rancio che davano alle loro truppe.

Non posso dimenticare quanto fossero buoni quei maccheroni in brodo con dei fagioloni gustosissimi. Mia sorella ed io verso le 18.00 ci mettevamo in fila nel cortile della scuola ed aspettavamo il nostro turno per farci riempire la calderina, un contenitore di alluminio. Quel 25 aprile la scuola era vuota, era accaduto qualcosa di grande: i tedeschi se ne erano andati.

Tutti ad inneggiare alla fine della guerra. Mio zio Enrico era felice perché sarebbe tornato sano e salvo dalle montagne suo figlio Gianfranco, partigiano. L’altro figlio Riccardo l’aveva perso in Russia, probabilmente in un qualche gulag..

Zio Enrico era però anche arrabbiato perché nelle strade festeggiavano tanti falsi partigiani. Tutta gente che si era nascosta durante il conflitto. Li conoscevo anch’io perché si vedevano ogni tanto all’Oratorio. La protezione religiosa aveva salvato loro la vita. Che vergogna proclamarsi partigiani da disertori di leva imboscati che non avrebbero saputo nemmeno maneggiare una scacciacani. 

Poi il colpo di scena. Verso le 10.00 urla, applausi, rumori di autoveicoli. Stavano arrivando gli americani che si erano insediati alle scuole comunali, come i loro predecessori. Il clima era festivo. I soldati lanciavano di tutto ai cittadini dai loro mezzi cingolati e camion: cioccolata gomma da masticare, scatolette, pane fresco. Alla mia finestra arrivò tutto ciò, ma soprattutto, indimenticabile, una michetta di pane bianchissimo. Una cosa straordinaria che non avevo mai visto in vita mia. Quel 25 aprile ne mangiai la metà e l’altra la tenni per il giorno dopo. Mio zio mi insegnò una frase in inglese “give me chewing gum” (io dicevo cingum) per ricevere dai soldati la gomma da masticare, e funzionava! Che bello, che festa. Mio cugino sarebbe tornato presto. Non sentivo tristezza per il padre deceduto in combattimento, non lo avevo di fatto conosciuto. Mi galvanizzava la libertà. Non ci sarebbe più stato un esercito occupante. Gli americani, amici ricchi per noi, avrebbero inondato Cuggiono di vaglia, prodotti, pacchi di ogni tipo. Ben oltre sei mila cuggionesi erano emigrati in America.

Avremmo finalmente mangiato, non più solo un piatto di riso ed una mela, ma anche altro. Alla sera avremo potuto accendere le luci e non aver più paura di Pippo, un caccia inglese che ogni tanto mitragliava. La notte non avremmo più corso in pigiama per le campagne quando suonava la sirena. Sarebbe cessato il bagliore notturno di Milano in fuoco che si scorgeva dalle campagne.

Era la Liberazione, il ritorno alla vita. La scuola non più occupata dai militari e la bontà del pane bianco, indimenticabile giorno. Quello era il sapore della libertà.

V.Volpi