Il palco allestito nella Piazza Rossa, gli «hurrah» dell’esercito schierato. Vladimir Putin, altero come uno zar, non ha fatto alcun riferimento al nucleare, s è tenuto lontano dagli sfarzi della retorica e, anzi, ha riconosciuto il prezzo – altissimo, in termini di vite umane – che la Russia sta pagando.

Ha ricordato “la morte di ognuno dei nostri soldati e dei nostri ufficiali” descrivendola come “un dolore che grava su tutti noi”.

Ha promesso alle famiglie dei caduti un aiuto da parte dello Stato. Nessun tono, quindi, guerresco, trionfalistico o retorico, nonostante le aspettative die media occidentali, molto delusi da questo.

Al contrario, lo “Zar” come lo chiamano, ha fatto un parallelo tra i veterani del 1941-1945 che sedevano dietro di lui e i soldati che stanno combattendo nel Donbass, quindi ha elencato i motivi che lo hanno spinto ad invadere l’Ucraina.

Putin non ha mai nominato il Paese durante il suo discorso; ma ha ricordato come la Russia abbia sempre esortato l’Occidente ad un dialogo onesto, alla ricerca di un ragionevole compromesso, invano.

“I paesi della Nato”, ha concluso “non ci hanno voluto ascoltare: essi si preparavano a una ennesima aggressione nel Donbass, all’invasione nelle nostre terre storiche, inclusa la Crimea.”