Nel novembre 2014 a Mosca, al Valdai International Discussion Club, Putin tenne un discorso molto diretto, di una brutale franchezza mettendo sotto accusa la politica degli occidentali nei confronti della Russia. Cito alcune frasi che danno l’idea di sostanza e tono:

“Ma gli Stati Uniti, essendosi dichiarati vincitori della Guerra fredda, non hanno visto la necessità di stabilire un nuovo equilibrio di poteri….”.

“La Guerra fredda è finita, ma non è terminata con la firma di un trattato di pace con accordi chiari e trasparenti sul rispetto delle regole esistenti o sulla creazione di nuovi parametri e regole.”

“Un diktat unilaterale e l’imposizione dei propri modelli producono il risultato opposto.”

“Essenzialmente il mondo unipolare è semplicemente un mezzo per giustificare la dittatura su popoli e paesi.”

“L’Ucraina è uno degli esempi di tali tipi di conflitti che influiscono sull’equilibrio internazionale di potere e io penso che certamente non sarà l’ultimo.”

“Abbiamo detto ai nostri partner statunitensi ed europei che decisioni avventate dietro le quinte, ad esempio, sull’ingresso dell’Ucraina nella UE sono gravide di gravi rischi per l’economia.”
Ai dibattiti organizzati da questa associazione assistono governanti, specialisti di geopolitica e di strategia militare di ogni Paese.
Il “j’accuse” di Putin era rivolto agli USA (inclusa NATO) e di riflesso all’UE. Le gravi colpe dell’uomo ed in particolare la criminale e ingiustificabile aggressione dell’Ucraina non possono servire da alibi per le possibili responsabilità e gli errori delle nostre reazioni alle accuse.
Gli Stati Uniti hanno spesso interessi simili ma non sempre uguali a quelli europei, affermazione che possiamo fare senza con ciò cadere nell’antiamericanismo di comodo. Comprensibilmente gestiscono i loro affari per il proprio tornaconto.
Mi permetto per contro di riflettere sulla reazione dell’Europa. Dinanzi alle pesanti critiche di Putin gli atteggiamenti possibili erano due: o rispondere picche contestandole, o addirittura ignorandole, come praticamente è stato, oppure accettare di entrare in discussione analizzando le accuse e negoziando sui singoli punti.
Entrambi gli atteggiamenti sono ipotizzabili. In ogni caso, ma in particolar modo nel primo, quello della chiusura in faccia della porta, si deve pensare che la controparte probabilmente reagirà con misure aggressive ed è necessario prepararsi ai possibili futuri scontri e a mosse anche estreme quali la guerra in Ucraina. Gli animali feriti sono i più pericolosi. Una delle prime preoccupazioni è quella di evitare di mettersi in situazione di dipendenza (leggi gas, petrolio e altro) nei confronti dell’avversario, che può diventare il nemico.
L’UE, invece di reagire elaborando una politica che le permettesse di trovarsi preparata in caso di crisi come quella oggi in atto, si è occupata da intelligente pizzicagnolo di ben altro. Si è impegnata in quel tempo nel rendere il più difficile possibile il Brexit, affinché ad altri Stati membri dell’UE non venisse pure l’idea di abbandonare l’Unione, e alfine di punire economicamente l’Inghilterra (il cui popolo con il suo eroico comportamento degli anni ’40 ha creato le premesse per la sconfitta delle dittature, circostanza che non andrebbe dimenticata).
Non c’era tempo da perdere con Putin quando si dovevano difendere gli interessi dei pescatori francesi nelle acque inglesi. A sua volta la signora Von der Leyen bacchettava sulle dita e imponeva colossali multe alla Polonia, dimenticando quanto quel Paese è stato martoriato durante e dopo la guerra, dimenticando pure, come realizzato oggi, che lì vi è il principale confine europeo con l’Ucraina, dove la solidarietà per milioni di rifugiati ucraini si è potuta materializzare. Una Polonia, strategicamente importante nell’odierno discorso.
Nel contempo la signora Merkel, che aveva deciso per ragioni emotive e considerazioni populistiche di annullare fonti nucleari di energia rendendo la Germania ancor più dipendente dalla Russia per le forniture energetiche, nonostante il discorso di Putin non ha pensato di rivedere la sua politica. Di conseguenza, sul fronte delle sanzioni contro la Russia, la Germania oggi è il ventre molle d’Europa, obbligata a versare quotidianamente milioni di dollari a Mosca per mantenersi operativa e non gelare dal freddo.
Non ci si è resi conto che nel ’91 e anni successivi vi era l’occasione per chiudere in Europa lo scontro tra democrazie e l’ultima autocrazia. Ciò ha portato all’odierna guerra combattuta su suolo ucraino.
Eminenti storici come Christopher Clark (“The Sleepwalkers. How Europe went to war” – 2012, in italiano “I Sonnambuli. Come l’Europa arrivò alla grande Guerra”) e Herfried Münkler (“Der Grosse Krieg. Die Welt 1914 bis 1918”) all’occasione della ricorrenza del centenario della fine della prima guerra mondiale, sono giunti alla conclusione che questo disastroso conflitto, terminato realmente solo nel 1945, fu in gran parte originato dalla mediocrità e incapacità delle élites politiche del tempo, che Clark ha definito “apparentemente vigili ma non in grado di vedere”.
Non è azzardato ipotizzare che gli storici nel futuro non daranno un giudizio migliore esaminando l’opera della classe politica europea dei nostri anni.

Pubblicato nel CdT e riproposto con il consenso dell’Autore e della testata