Evviva la libertà di espressione, materia ormai rara ad Hong Kong. Questa volta la prigione è toccata a tre personaggi illustri, non per misfatti, ma per le loro idee. In primis il Cardinale Joseph Zen noto per le sue critiche al regime di Pechino. Il Cardinale Zen, è stato arrestato dalla polizia di sicurezza nazionale di Hong Kong insieme all’ex parlamentare dell’opposizione Margareth Ng ed alla cantante Denise Ho (secondo il South China Morning Post). L’accusa è di collusione con forze straniere, uno dei quattro crimini contemplati dalla legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel giugno 2020, contravvenendo agli accordi di “un paese due sistemi” firmato nel ’97 con il Regno Unito e validi fino al 2047. 

Il Cardinale è poi stato rilasciato su cauzione dalla stazione di polizia di Wan Chai intorno alle 23.00 ora locale.

Joseph Zen è una figura di primo piano, notoriamente anti comunista/Pechino, ma anche per le sue critiche al Vaticano. È  infatti uno dei maggiori oppositori della nuova Ostpolitik vaticana, preoccupati per l’apertura del dialogo tra la Santa Sede e Xi Jinping. Zen è contrario agli accordi Vaticano-Pechino in merito alla nomina dei nuovi Vescovi che ha definito “accordi con il nemico”.

Il vecchio Cardinale  – 90 anni – ha anche sbugiardato il Segretario di Stato, Pietro Parolin, fatto raro per la Santa Sede, sostenendo  “non so perché il Papa si lasci manipolare da lui”. Parole che pesano se dette da un Cardinale Emerito che a proprio rischio da anni critica il governo cinese.

Mi sono ricordato della sua visita a Lugano il 27 gennaio 2010 alla quale partecipai e di alcuni suoi commenti più significativi che espresse in quella occasione:

  • Lo chiamano “socialismo con caratteristiche cinesi. Dovrebbero dire capitalismo con caratteristiche cinesi! È un regime totalitario.
  • I migliori amici dei comunisti ad Hong Kong sono i ricchi. Adulano i potenti e dimenticano i poveri.
  • La Chiesa aperta, quella nominata e diretta dal Partito, si appoggia su una cinquantina di Vescovi. Quella clandestina, la nostra, molti di meno.
  • Purtroppo il cristianesimo è attaccabile perché è arrivato con il colonialismo e quindi la propaganda lo identifica con esso. Dà i pretesti per attaccarlo.
  • Il crollo dell’ideologia ha portato anche al crollo dei valori e quindi della verità in Cina.

Non fu per nulla tenero ed è sorprendente che abbia resistito così a lungo. Dal 2009 è in pensione, ma non ha perso né il coraggio né la verve. Il suo arresto si ritiene fosse nell’aria. L’assalto finale ad una figura carismatica e pro democrazia, principale per influenza e rigore morale era dietro l’angolo. Ha avuto inizio nei mesi scorsi quando il Ta Kung Pao, un quotidiano in mandarino sponsorizzato dal Partito Comunista, ha pubblicato ben quattro articoli prendendo di mira Zen e tutta la Chiesa di Hong Kong. Era accusato di aver a lungo abusato del suo status per allearsi con personaggi considerati ostili alla Cina e secessionisti. Zen è stato Vescovo di Hong Kong dal 2002 al 2009 con la nomina a Cardinale dal 2006. Da sempre  è stato contrario alle negoziazioni Vaticano-Pechino ed alle relazioni diplomatiche sottotraccia che hanno portato ad un accordo provvisorio sottoscritto il 22 settembre 2018 e poi prorogato fino al prossimo autunno.

Nella Chiesa stessa non mancano altre autorevoli voci di opposizione all’accordo, ma nessuno rischia come lui.

Alcuni sostengono che sia una trappola anche per Taiwan. Il Vaticano è uno degli ultimi Stati, 13 ancora, che riconoscono la “provincia ribelle” come è definita da Pechino. Un baratto fra Pechino ed il Vaticano sulle nomine dei Vescovi potrebbe avere come contropartita un disconoscimento di Taiwan in cambio del riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese.

Come noto, Vaticano e Pechino non hanno rapporti diplomatici. Il comunicato scarno della Città del Vaticano sull’arresto deve essere stato preparato da tempo “la Santa Sede ha appreso con apprensione la notizia dell’arresto”. Ma come chiosa il Financial Times odierno, la Cina non sembra curarsi delle ripercussioni internazionali. Un mattone sulla testa, anche se forse atteso, per Papa Francesco che sostiene “l’Asia è il futuro della Chiesa” e da buon Gesuita certamente sogna di visitare il Paese dove il suo confratello Matteo Ricci nel 17mo secolo si guadagnò la fama del “grande amico dall’Occidente”.

V.Volpi