In Europa vi è la guerra, quella tra Russia e Ucraina, con UE, UK, NATO, USA e parte dell’opinione pubblica che parteggiano per l’Ucraina aiutata con l’invio di armi sanzioni. Altre parti del mondo, con alla testa Cina e India, sono per contro interessate a non prendere posizione e comunque contrarie ad inimicarsi la Russia.

Tito Tettamanti

Per noi uno shock, per quasi ottant’anni dalla fine dell’ultima guerra mondiale siamo vissuti in Europa in pace e il concetto di guerra era scomparso dai nostri pensieri. Questa versione ufficiale dimentica però che tra il 1991 e il 2001 nel mondo balcanico serbi, croati, bosniaci si sono battuti in modo sanguinoso e crudele e gli scontri sono terminati solo grazie all’intervento di Clinton, che con l’accordo di D’Alema, allora capo del governo italiano, ha usato basi militari aeree americane in Italia per operazioni di guerra. Gli scontri nella ex Jugoslavia li abbiamo considerati più un regolamento di conti tra popoli e fanatismi religiosi che risalivano ancora ad una battaglia de11389, affermazione di rancori etnici conseguenti alla liberazione dal giogo comunista.

Sì, abbiamo dimenticato che al mondo vi è costante il minaccioso spettro della guerra. Ma non solo quella studiata da Clausewitz, vale a dire le strategie militari, gli armamenti, la disposizione degli eserciti, ma quella oggetto di studi di una branca della sociologia denominata polemologia.

Uno dei maggiori studiosi in materia è certamente Gaston Bouthoul, autore negli anni ’50 dello scorso secolo di un’importante opera: “Les guerres: éléments de polémologie“. Innegabile che la guerra sia uno dei più impressionanti fenomeni sociali, e secondo Bouthoul è all’origine della Storia.

La morte di molte civiltà è legata alla guerra. L’importanza del fenomeno è provata pure dal fatto che penso non vada errato chi afferma che non c’è giorno del calendario nel quale in una qualche parte del mondo non vi sia un conflitto armato. Pensiamo alla lotta tra eserciti, ma pure tra bande di narcotrafficanti che arrivano a paralizzare intere nazioni, a guerriglie nel Sud America, a scontri tra etnie e fazioni contro il potere di turno in Africa, alle molte confrontazioni belliche in Medio Oriente e in Asia, e perché no ormai hanno raggiunto l’aspetto di guerra a base di colpi di kalashnikov lo scontro tra ceceni, nigeriani ed altri per il controllo delle attività criminali in città scandinave, con quartieri invivibili, e dove il confine tra concorrenza tra criminali per la supremazia e guerra che coinvolge i civili è tenue.

Le ragioni che originano conflitti sono molteplici: rivendicazioni, interessi, desiderio di punire eventuali affronti, difendere prestigio ed onore. Vi sono guerre internazionali, civili, coloniali, offensive, difensive, preventive, ma non va dimenticata alla base di tutto l’aggressività degli umani, e quale conseguenza quella di chi reagisce e si difende.

Al termine dell’ultima grande guerra, l’Unesco effettuò uno studio sull’origine dell’aggressività delle nazioni arrivando alla sconfortante conclusione che «la guerra è nello spirito degli uomini».

In questa sede non possiamo approfondire tutti questi temi e men che meno le ragioni psicologiche che inducono all’aggressività e poi allo scoppio della guerra.

Una parola la merita il pacifismo, quello vero non quello unilaterale messo in atto durante la guerra fredda volto solo ad indebolire la parte avversaria.

I sentimenti dei pacifisti veri non possono che venir condivisi. Le guerre moderne hanno portato a inaudite sofferenze da parte dei civili, vittime di bombardamenti, distruzioni, mutilazioni tendenti perfidamente a minare il morale della popolazione.

Purtroppo la buona fede utopica dei pacifisti urta con una realtà che quotidianamente ci viene mostrata, e non possiamo permettere di lasciarci trovare inermi facilitando, sia pure per nobili ragioni, l’opera dei guerrafondai.

L’aggressione russa all’Ucraina ha dimostrato che anche per noi europei non cisi può più illudere che la guerra sia un fatto del passato. un fenomeno sociale con il quale dobbiamo convivere, che negligentemente abbiamo voluto dimenticare e che ha portato i governi europei e l’UE ad una serie di errori, di dimenticanze che hanno condotto all’odierna situazione di debolezza.

In considerazione dell’importanza dell’economia e dei rapporti economici tra le nazioni, nella speranza di trovare un’alternativa alle guerre delle armi, ci si è convinti che un ruolo sostitutivo potessero avere le sanzioni economiche.

Illusione, e la prova l’abbiamo in vari casi tipo Cuba, Iran, Iraq. Le misure impoveriscono ulteriormente popolazioni già in disagio ma non riescono a veramente indebolire il potere che talvolta ne approfitta per arricchirsi con il mercato nero. Inoltre, le nazioni che impongono ritorsioni economiche non osano andare oltre certi limiti temendo l’impatto negativo sui propri cittadini (leggere: gas russo e nazioni europee che non vogliono rinunciarvi). Non vi è guerra (anche economica) dove solo una delle parti soffre le conseguenze.

Dato i tempi, per politici e dirigenti economici rinfrescarsi le idee con la lettura di qualche trattato di polemologia potrebbe rivelarsi utile.