(fdm) Questo non è un necrologio, ma un monumento. Un profondo ricordo, ricco, preciso e affettuoso, scritto da una persona che lo conosceva molto bene.

Io stesso lo conoscevo da circa quarant’anni. Ebbi la fortuna di incontrarlo per un’ultima volta nello scorso dicembre, a una cenetta tra amici. Lunedì 7 gennaio ci siamo ritrovati in via delle Rose a Pregassona per la semplice cerimonia d’addio. C’erano Marina, Fabio, Carla, Veruska, Carlo, Paolo Camillo, Francesco, e alcuni altri amici ed estimatori.

Elio, un uomo modesto che valeva molto.

Ora tocca a Minotti, che parte da anni lontani, dal tempo delle “cosiddette Brigate Rosse”. Oggi, a pensarci, ci vien da ridere, ma dicevano veramente così.

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Lunedì 7 gennaio si è svolta a  Pregassona la cerimonia funebre di commiato dal signor Elio Bernasconi, classe 1923.

La mente si affolla di ricordi ripensando agli anni in cui ebbi a che fare con Elio Bernasconi. Lo incontrai per la prima volta a un’adunanza politica nei primi anni ’70 (l’anno esatto non me lo ricordo; io avrò avuto 15 o 16 anni e vi ero andato per accompagnare il mio papà), e mi colpì sin dal primo momento per la sua verve, la sua capacità di argomentare in modo preciso ed essendo informato dei fatti (distinguendosi dal pressapochismo di qualche altro presente), la sua razionalità ….nonché la sua caratteristica di accanito fumatore. Diversi anni dopo ebbi modo di incontrarlo sovente dapprima a “Gazzetta Ticinese” nel periodo in cui vi lavorava, poi nell’ambito delle adunanze dell’Alleanza Liberi e Svizzeri (ALS) e in seguito anche nell’ambito UDC e della Cooperativa “Il Paese” quando iniziai a collaborare allo stesso.

Prima di iniziare la collaborazione con GT negli anni ’70 egli fu collaboratore occasionale del “Giornale del Popolo” di monsignor Leber, in specie con articoli di critica delle trasmissioni RTSI e del sinistrismo allora imperante (erano i tempi in cui i dicitori della RTSI chiamavano le BR “le cosiddette Brigate Rosse” avallando di fatto la tesi cervellotica e assurda che dominava allora in certa stampa di sinistra italiana secondo cui il terrorismo rosso non esisteva ma che si trattava di una macchinazione di forze oscure della Destra e della CIA!). Don Leber apriva le colonne del suo giornale anche a liberali agnostici come il professor Aldo Crivelli, purché si trovassero sullo stesso fronte in certe battaglie di costume e di civiltà, per es. nel 1974 per combattere la Legge sul cinema che sopprimeva la censura cinematografica, oppure per scrivere di argomenti culturali in cui Crivelli – come esperto di monumenti storici e di archeologia – era molto competente; in questi casi A.C. si firmava con l’acronimo “Lallo Vicredi”. Credo che fu proprio in occasione del referendum contro la legge sul cinema che Elio Bernasconi conobbe e divenne sodale di Aldo Crivelli. Di lì a poco il signor Luciano Danzi offrì poi loro di collaborare al settimanale “Il Paese”, dove potevano scrivere articoli più prettamente politici. Fino alla sua morte nel 1981 Aldo Crivelli diede al “Paese” un profilo combattivo, in specie denunciando il crescente indebitamento dello Stato e l’incapacità dei partiti di governo di tenere sotto controllo le finanze cantonali; mentre Elio Bernasconi scriveva regolarmente un “pezzo” su altri temi politici (in specie: critica della RTSI, politica federale e internazionale ). Nel 1981 E.B. (così lo chiamavamo noi del “Paese”, perché così si firmava) divenne poi il redattore principale del settimanale, curando tra l’altro la indimenticata rubrica “Senza rete”; e ne restò editorialista fino al 2002.

Nel frattempo sulla scìa dei temi sopra citati si arrivò nel 1977 alla fondazione dell’ALS, di cui Elio assieme a una pattuglia partiticamente trasversale fu uno dei promotori e poi per molti anni anche segretario e (fino alla cessazione della pubblicazione nel 2017) redattore del giornaletto trimestrale “Cronache”. Mi sono rimaste impresse nella memoria soprattutto le affollate assemblee della CORSI in occasione della nomina del rispettivo comitato, per cui gli aderenti ALS si mobilitavano liberamente, coordinati da E.B. (dall’altra parte c’erano i precettati della partitocrazia, della sinistra e dei dipendenti RTSI i quali ultimi, vergogna inaudita che durò anni, partecipavano all’elezione del gremium che teoricamente doveva vigilare sul loro lavoro).

Per alcuni anni, a cavallo tra gli anni ’70 e ’80, E.B. fu pure come già detto giornalista a tempo pieno presso “Gazzetta Ticinese”, che verso la fine degli anni ’70 si era rinnovata, passando da giornale strettamente di partito a portavoce della corrente “liberale” del PLRT ma aperta anche a contributi di esponenti di altri partiti e a voci indipendenti. “Gazzetta Ticinese” di quegli anni – sia pure suscitando aspre resistenze all’interno del PLR – stimolò un rinnovamento di quel partito ma anche degli altri giornali, che da lì in poi si aprirono maggiormente ad ospitare la voce dei lettori e si liberarono un po’ dalla rispettiva sudditanza partitica o clanistica, fin che poi si arrivò a una rivoluzione che alla fine degli anni ’70 sarebbe stata impensabile: la scomparsa dei quotidiani di partito e via via alla situazione odierna….

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E.B. era un libero pensatore nel vero senso del termine, non nel senso più comune di ateo militante come i seguaci della rivista “Libero pensiero” del memorabile docente comunista Guido Bernasconi. Diceva e scriveva quel che pensava, non importandogli molto che cosa fosse la “linea” del partito “x” o “y” al riguardo. Raramente si adattava a moderare un suo punto di vista o a glissare su un dato tema se sullo stesso si trovava in contrasto con la linea sostenuta dal partito di riferimento del giornale; e tantomeno era disposto a farlo se ciò era suggerito solo da considerazioni opportunistiche e di quieto vivere. A quei tempi il “Paese” era un foglio d’opinione formalmente indipendente dall’UDC, anche se vicino ad essa, per cui i contrasti fra le due parti facevano parte della normalità; perdipiù l’UDC ticinese a quei tempi non era ancora profilata nei temi di politica federale sulla linea “blocheriana”, mentre “Il Paese” l’aveva in un certo qual senso precorsa e aveva una linea più di destra.

Politicamente E.B. si definiva un liberal-conservatore, e già questo nel Ticino settariamente partitante di qualche decennio fa suscitava ancora qualche equivoco e qualche stupore, perché nel senso comune “liberali” e “conservatori” erano avversari. Egli postulava uno Stato sorretto da cittadini liberi e responsabili, consapevoli dei propri diritti ma anche dei propri doveri; la sua concezione era agli antipodi di una certa politica completamente basata sul rivendicazionismo di diritti sociali. Sull’essere di destra di E.B. occorre però precisare: non della destra che pensa solo all’economia; era un fautore della libertà economica e del mercato, ma contemperati dall’interesse nazionale. Quando era in gioco l’interesse generale del Paese, la sua identità e la sua coesione, l’economia doveva adattarsi ai superiori interessi nazionali e lo Stato doveva porre dei paletti: per esempio in materia di immigrazione.

Bisogna poi precisare: di destra, ma non di estrema destra. Egli era fieramente ancorato alla tradizione democratica svizzera. Dell’ideologia e del regime nazista tedesco (e, accessoriamente, di quello fascista italiano) ebbe sempre un giudizio radicalmente negativo. Siccome conosceva bene la Storia, oltre a rammentarsene “in presa diretta” dai suoi anni giovanili, aveva orrore del fanatismo e della violenza connessi a tale ideologia, con il corredo di soppressione della libertà e dello Stato di diritto. Peraltro egli, in linea con alcuni storici e studiosi del pensiero politico, sosteneva la tesi che il nazionalsocialismo e il fascismo furono dei fenomeni rivoluzionari e quindi “di sinistra”. Da certi avventati nostalgici di Adolf “baffetto” lo distingueva poi la sua refrattarietà a qualsiasi forma di anti-semitismo; era un simpatizzante di Israele e vedeva in esso un baluardo dell’Occidente nel Vicino Oriente, e storicamente riteneva la creazione dello Stato di Israele come una parziale riparazione della vergognosa persecuzione anti-ebraica per mano dei nazionalsocialisti tedeschi e dei loro complici un po’ ovunque in Europa. La sua sostituzione – decisa dalla dirigenza UDC Ticino – nel 2002 alla redazione de “Il Paese” con un giornalista piemontese della destra radicale e nostalgico della sconfitta tedesca del 1945, gli causò amarezza non tanto per il fatto di venir messo da parte ma per la correzione della linea del giornale in un senso a lui inviso. (Nota di PCM: Sostituto e linea che peraltro nel giro di pochi anni vennero presto archiviati)
E.B. era invece più indulgente per alcuni regimi autoritari di altri Paesi, sorti in determinate circostanze storiche e che andavano giudicati in rapporto allo stadio di evoluzione del paese in questione. Rispettava il generale Francisco Franco (tra l’altro conosceva abbastanza bene la Spagna, perché vi fece alcune visite negli anni ’50) e distingueva nettamente il suo regime dal fascismo italiano e tedesco. Giustificava il golpe franchista del luglio 1936 con la situazione di anarchia e le condizioni rivoluzionarie imperversanti nel paese (nella Spagna del Fronte popolare si ammazzavano allegramente gli avversari politici e l’autorità lasciava fare….) e sostenendo che se non vi fosse stato il golpe la Spagna sarebbe diventata una dittatura comunista. E quindi, fra le due alternative, meglio un regime autoritario di destra. Ma ricordava anche che la guerra civile spagnola fu un bagno di sangue spaventoso, con episodi di inaudita ferocia da entrambe le parti. E che forse anche perciò gli spagnoli nel dopoguerra sopportarono di buon grado la dittatura di Franco: perché avevano orrore che potesse ricominciare la guerra civile, erano stati insomma vaccinati contro l’estremismo.

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La conversazione con lui era piacevole e ci si attardava anche per delle ore a parlare, quando ci si incontrava per qualche occasione o quando ci si sentiva al telefono per accordarsi sugli articoli da scrivere rispettivamente per il “Paese” o per le “Cronache”; si faceva per così dire il giro del mondo, commentando gli avvenimenti del momento (politici o meno), partendo dalla politica internazionale, passando per quella francese o italiana, per arrivare a quella federale svizzera e infine a quella cantonticinese e ai fatti vari. Di transenna non si risparmiavano giudizi schietti e impietosi su questo o quel politico o capo di stato che aveva detto o fatto una sciocchezza, su questo o quel giornalista che aveva sostenuto in qualche articolo una tesi a nostro parere assurda o demenziale. Talvolta, specialmente quando si parlava al telefono, si andava un po’ sul pesantuccio nei giudizi – e con l’età egli aveva un po’ attenuato quel garbo e quel rispetto delle persone che sempre però mantenne in pubblico e nei suoi scritti – ; e mi ricordo che una volta era caduta una allusione del tipo “ma se almeno la TSI a Comano bruciasse una volta” al che l’altro prontamente rispondeva scherzando “speriamo che la telefonata non sia registrata perché altrimenti rischiamo di prenderci una querela!” oppure “speriamo che non ci sia qualche attentato davvero, che poi se qualcuno ci ha sentito proferire queste parole, ci incolpa noi del misfatto!”. Oppure, quando era indignato di qualche dichiarazione o di qualche sit-in da parte di un qualche parroco o pastore protestante strenui fautori dell’accoglienza indiscriminata dei migranti, talvolta gli scappava detto l’imprecazione: “Accidenti a questi pretacci!”.

Gli epiteti appioppàti ai vari consiglieri federali che si sono avvicendati negli anni e il cui agire egli riteneva nefasto (da Koller e Felber passando per Leuenberger e su su fino a Burckhaltèr, Leuthard e Simonetta Sommaruga), talvolta erano pure molto colorìti. A Koller non perdonò mai la proposta di devolvere l’oro della BNS in esubero alla Fondazione Solidarietà – poi fortunatamente spazzata via in votazione popolare – al fine lavare l’onta delle presunte colpe della Svizzera nella seconda guerra mondiale. Al consigliere federale Villiger rimproverava invece l’ingenuità per aver chiesto per primo scusa al mondo in un famoso discorso pubblico per il predetto comportamento della Svizzera, ciò che equivaleva a una ammissione di colpa e che quindi avvalorò le richieste di risarcimento dei noti ambienti finanziari nuovayorkesi sul cosidetto “oro ebraico” o oro nazista transato dalla Svizzera. In quanto poi ai suoi giudizi su Burkhaltèr e Sommaruga sono irriferibili in questa sede, dato che in luogo pubblico occorre esprimersi in termini urbani, ma non ce n’è neanche bisogno perché le gesta dei sullodati sono recenti e quindi ancora ben presenti nella memoria dei lettori. Forse negli ultimi anni, non scrivendo più eccettuato che per l’appuntamento trimestrale delle “Cronache”, sentiva il bisogno più accentuato di sfogarsi nella conversazione con gli amici.

E.B. era un accanito lettore di giornali, da quelli cui era abbonato (il CdT e il “Nouvelliste” vallesano) a quelli che leggeva al bar (NZZ, Il Giornale, Corriere della sera, più tardi Libero) e nessuna notizia, più o meno importante, gli sfuggiva. Egli era un lettore acribico e meticoloso, come si addice al giornalista scrupoloso. Mi ricordo che quando negli anni ’80 c’erano ancora 6 quotidiani in Ticino, egli li leggeva tutti per trarne qualche spunto di commento o per prendere in giro qualche collega giornalista che aveva scritto una qualche asinata “premiandolo” con una citazione nella sua rubrica “SENZA RETE”, dove riportava dei testi ritenuti poco commendevoli (o involontariamente umoristici) di altri giornali, vuoi perché vi si trovavano dei palesi strafalcioni o vuoi perché vi venivano sostenute delle tesi assurde e contraddittorie; il tono del suo commento era di volta in volta fustigatore o bonariamente ironico. Mi rammento che una volta il compianto prof. Alessandro Lepori scherzosamente gli fece i complimenti, perché Elio aveva messo in rilievo sul “Paese” una stupidaggine particolarmente vistosa che si trovava verso la fine di un articolo di cronaca politica sul “Popolo e Libertà”; e Lepori gli disse: “ma come hai fatto ad avere la pazienza di leggere quella pappardella insignificante fino alla fine e a scovare quella contraddizione? Forse sei stato l’unico lettore del PeL ad averlo letto per intero”.

Ancora lo scorso dicembre, rispondendo alla mia domanda se non avesse problemi di vista e se leggesse ancora regolarmente, mi disse che no, non aveva problemi di vista e che l’unico problema era che con l’età impiegava più tempo a svolgere le faccende di casa, cucinare ecc., percui gliene restava meno per leggere e che perciò da alcuni anni aveva rinunciato alla lettura in tedesco perché gli richiedeva troppo tempo. Inoltre anche i giornali italiani li leggeva solo saltuariamente, perché non tutti i giorni usciva di casa. “Il CdT però lo leggo tutto, salvo lo sport e gli articoli di Silini”, mi disse.

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Qui debbo fare un inciso sui suoi rapporti con i cattolici di sinistra – purtroppo divenuti dominanti nella Chiesa in specie da quando Bergoglio è diventato Papa – e in genere con i moralisti terzomondisti (Da questo punto di vista E.B. era “ecumenico”: che fossero cattolici o laici, i moralisti terzomondisti non li amava). Questi teologi sedicenti progressisti, questi cattolici “angelisti” e moralisti che ci colpevolizzano regolarmente per la fame nel mondo e per il (presunto) passato sfruttamento coloniale dell’Africa e che ora da un po’ di tempo, con un lavaggio dei cervelli incessante, vogliono convincerci che l’invasione dell’Europa da parte di milioni di africani e di musulmani del Nordafrica e del Medio Oriente sia cosa buona e giusta, E.B. li ha sempre visti come il fumo negli occhi. Egli rispettava la religione (la Chiesa) a condizione che essa restasse nel suo ruolo di curatrice d’anime e monitrice delle coscienze e che non si impicciasse di politica, perché in quest’ultimo caso ne vedeva il grave pericolo di manipolazione, peraltro senza che essa si assumesse le responsabilità delle scelte raccomandate in virtù del proprio magistero. Per Papa Ratzinger aveva stima e ne apprezzava la cultura e la moderazione, ma provava una spiccata insofferenza contro l’orientamento politicizzato delle associazioni e istituzioni ecclesiali in Svizzera, addirittura negli ultimi anni con raccomandazioni di voto su temi come l’iniziativa per l’autodeterminazione o quella sull’utilizzo dei detective per combattere gli abusi da parte delle assicurazioni sociali (sic!)! Perciò non sono rimasto sorpreso che egli abbia voluto una cerimonia funebre senza preti. È possibile che con l’andar del tempo egli fosse giunto a un agnosticismo convinto, anche filosofico; non saprei dire con certezza, perché non son cose che si abbordano con facilità, anche tra amici assidui.

Credo che questo suo convincimento si fosse accentuato dopo la morte della moglie. Ma ad ogni modo egli si era convinto da tempo che la Chiesa, assieme a molti intellettuali, avessero commesso per così dire una “trahison des clercs” (per riprendere il titolo del famoso libro dello scrittore francese Julien Benda) e che fosse ormai diventata “una istituzione che non serve più”, come mi disse due o tre anni fa. Egli aveva una personale etica diciamo così “stoica”, comportandosi con rettitudine senza bisogno del supporto di una religione praticata e dei suoi riti.

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E.B. sapeva anche gustare i lati buoni e piacevoli della vita, in particolare coltivava la passione per la cucina e la buona tavola. Insomma si trattava bene. Anche prima di restare vedovo (la signora Alice morì oltre 10 anni fa), egli amava quando aveva tempo preparare il pranzo ed era un cuoco di tutto rispetto. Per un certo periodo, fino alla cessazione dell’esercizio alla fine degli anni ’60, la moglie aveva ripreso la gestione del ristorante di famiglia (Taddei) a Castagnola; ed Elio – che precedentemente aveva fatto il rappresentante – l’aveva allora coadiuvata nelle incombenze di cucina, nel fare la spesa e nel servizio ai clienti. E siccome egli amava fare tutte le cose in modo accurato, si era acconciato a perfezionarsi nell’arte culinaria. L’arte della cucina compendia bene il lavoro intellettuale, perché costringe a un’attività anche manuale e distende i nervi, favorendo l’istaurarsi di un equilibrio nel ritmo della giornata. Inoltre la degustazione del piatto è ancor più appagante nel caso che esso sia stato preparato da sé stessi anziché da terze persone.

Dicevo all’inizio che Elio era un fumatore accanito di sigarette: appena finito di fumarne una e averla spenta nel portacenere, si apprestava subito ad accenderne un’altra per accompagnare la conversazione; sembrava quasi che la sigaretta lo ispirasse, perché le migliori battute gli venivano dopo aver dato un tiro alla sua Parisienne…. Peraltro ciò non gli ha impedito di arrivare in condizioni di salute invidiabili fino ai 95 anni compiuti; lui asseriva di non respirare il fumo e che perciò il fumare non gli nuocesse, ma questa tesi non mi convinceva molto; a mio avviso era semplicemente di solidissima tempra e perciò, nonostante il fatto che fumasse, campò tanto e non si ammalò mai fin quasi a 90 anni. La buona salute e la longevità dovevano essere nel suo dna, perché già il padre Luigi morì 92enne, ma solo perché era stato investito da un motociclista mentre attraversava una strada nella sua Chiasso.

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E.B. è sempre stato una persona informata e aggiornata sulla vita di tutti i paesi anche extra-europei, sulla natura e sulla scienza, con il piacere e la curiosità di farsi un’idea e una ragione dei fenomeni del nostro mondo e dell’umanità; apprezzava per esempio le trasmissioni scientifiche divulgative di Piero Angela o di altri bravi divulgatori scientifici, mentre non amava il pressapochismo, la sciatterìa e la frivolezza purtroppo diffusi un po’ dappertutto e anche nei giornali e nelle tivù.

Egli era la negazione vivente della caricatura che gli “europeisti” e gli internazionalisti di casa nostra fanno solitamente degli avversari dell’adesione all’UE e dei difensori delle sagge prerogative democratiche e di libertà svizzere, visti come chiusi e provinciali; al contrario, E.B. era uno spirito intellettualmente più aperto di certi europeisti faziosi e imbottiti di pregiudizi e di certi terzomondisti provinciali che si crogiolano con arroganza nel brodo della loro ignoranza.

E.B. era una persona spiccatamente razionale e che faceva fede al sapere della scienza; in molte discussioni anche di questi ultimi anni (vedi per es. il riscaldamento climatico) egli diffidava delle “mode” che inducono a sostenere delle tesi non dimostrate e che cozzano contro l’evidenza logica e storica. Per esempio mi ricordava spesso, a proposito del riscaldamento climatico, un fatto storico inoppugnabile: la Groenlandia era nel Medioevo una terra coltivata e dal clima temperato (d’altronde il nome stesso lo dice: nell’idioma vichingo significa “terra verde”) e la calotta artica era in buona parte circumnavigabile; ciò è attestato da parecchie testimonianze storiche; il clima cominciò a riscaldarsi all’epoca di Carlomagno fino circa al 1350, poi nei secoli successivi si raffreddò di nuovo. Orbene a quel tempo non c’erano ancora le emissioni di CO2 dovute all’industrializzazione e all’uso di carbone e petrolio e, d’altra parte, l’umanità era molto meno numerosa di oggi, perché la scarsità di riserve di cibo oltre alle epidemie e alle guerre impedivano un’esplosione demografica eccessiva. È perciò storicamente dimostrato che il raffreddamento e il riscaldamento terrestri obbediscono in gran parte a fattori indipendenti dall’uomo, quali i cicli solari, i cambiamenti dell’asse terrestre, eccetera. Ciò non significa che non bisogna preoccuparsi dei problemi ambientali, però occorre diffidare delle enfatizzazioni strumentali e occorre sempre mantenere un approccio razionale.

Se volessi andare al nocciolo e spiegare in due parole l’atteggiamento di E.B., direi che egli era uno che ragionava con la propria testa e non si accodava mai a una posizione solo per il fatto che fosse sostenuta da molti o dai più, ma voleva prima verificarne il fondamento con il suo raziocinio. Questo lo portava ad avere scarsa considerazione di chi invece ripeteva per conformismo o per opportunismo l’opinione prevalente e, viceversa, naturalmente costoro non lo amavano perché erano imbarazzati dalla sua indipendenza di giudizio.

Di questa indipendenza E.B. pagò in qualche occasione il prezzo; ma si comportò sempre da perfetto gentiluomo, non recriminando mai per i torti subìti o per non essere stato trattato con il riguardo che avrebbe meritato. Dimostrò una notevole dose di umiltà e di dedizione alla causa, il suo impegno (e mettendoci la faccia) fu sempre disinteressato e semmai profittò ad altri personaggi più in vista. Egli poteva apparire talvolta anche a qualche amico – me compreso – come troppo intransigente. Un amico lo soprannominò una volta “Suslov”, per analogia con l’ideologo del PCUS (e sottintendendo naturalmente nel caso di Elio un’ideologia di segno opposto), e questo appellativo lo usammo poi scherzosamente per molto tempo in una ristretta cerchia per così dire come “nome in codice”; anche lo stesso compianto dottor Gianfranco Soldati lo chiamava (tra il serio e il faceto) il “custode dell’ortodossia” della destra. Ma si trattava a mio avviso di appellativi ingiusti (o da considerare per ciò che valevano = cioè delle battute scherzose), perché Elio non era un fanatico e non assomigliava neanche da lontano a un apparatchik comunista come l’ideologo supremo del PCUS.

E.B. metteva sempre in prima fila l’idea, la causa comune, l’interesse superiore (del proprio schieramento, del nostro paese), e mai il proprio tornaconto o anche solo la sua personale gratificazione o l’interesse elettorale di questo o di quello. Assomigliava, se ci penso, all’ideale del cittadino (e dell’uomo) come è tratteggiato dai grandi saggi come Marco Aurelio; in primo luogo il fatto di badare di essere indipendente anche economicamente al fine di non dover venir meno ai propri princìpi e non causare fastidi ad altrui, e poi di asserire sempre il vero (o quello che crediamo in buona coscienza essere il vero) qualunque conseguenza possa derivarne e, infine, servire disinteressatamente l’ideale di giustizia e la patria senza sperarne ricompensa. Egli è stato una di quelle persone che non mi deluse mai per questo o quel comportamento. Anzi col tempo viepiù imparai ad apprezzarlo. Addio Elio.

Paolo Camillo Minotti