L’ideologia è una costruzione astratta. Frutto della nostra immaginazione cerca in politica di delineare i caratteri della società perfetta che realizzi le nostre aspirazioni e valori sociali. La sua pericolosità sta nel voler sostituire alla realtà un ipotetico ideale che gli uomini non dovrebbero fare altro che seguire per realizzare i propri sogni. Questa convinzione può portare all’eccesso di intravedere in coloro che non condividono il nostro pensiero il nemico, il reprobo. Da qui, dall’insicurezza a sentirsi obbligati di imporre l’ideologia per il bene di tutti – la dittatura – il passo è breve. Una frattura con la realtà la si constata anche nelle soluzioni tecnocratiche rivolte al futuro che si debbono basare su ipotesi e previsioni, su possibili atteggiamenti dei singoli che spesso si rivelano fallaci. Esempio: sino a prima della COVID i media e l’opinione pubblica erano preoccupatissimi dell’esubero di manodopera e per la disoccupazione che l’avanzare della tecnologia con la sostituzione dell’uomo con la macchina avrebbe creato. Di questi giorni, a distanza di un paio d’anni, la preoccupazione di ieri è scomparsa e per contro ci si lamenta della carenza di forza lavoro, della difficoltà di trovare collaboratori. Pericoloso è il prevalere dell’ideologia, di qualunque colore, nelle risposte che la politica deve dare alle esigenze della società. Le tesi preconcette, il desiderio di far valere le proprie visioni portano ad alterare o cercare di influenzare il risultato dell’esame dei fatti e a forzare l’individuazione di soluzioni concrete, si è inclini a sottovalutare la fattualità per perseguire il fine ideologico. 

Un caso da manuale è quello verificatosi con la Strategia energetica 2050 (Energiestrategie 2050) discussa inizialmente dal Consiglio federale nel 2011. Nel corso del dibattito sulla soluzione proposta dal Governo i professori Silvio Borner (già ordinario di economia all’Università di Basilea, oggi scomparso) e Bernd Schips (già direttore del KOF dell’ETH di Zurigo) con otto specialisti hanno pubblicato un libro che metteva in allarme preannunciando il disastro poi verificatosi. Definivano la proposta un pacchetto di pure illusioni e speranze, deploravano l’assenza di mete che avessero la possibilità tecnica ed economica divenir raggiunte. Definivano il pronosticato sviluppo della produzione di energia erratamente concepito e con relativo spreco di soldi. Concludendo, gli autori denunciavano la deriva ideologica riscontrabile nelle argomentazioni del Consiglio federale e di alcuni partiti. Ora, con quasi trent’anni di anticipo sul 2050, la realtà e la crisi energetica paventata ci dimostrano quanto le proposte del Consiglio federale, sostenute allora dalla maggioranza dei partiti, fossero un libro delle favole e quanto le opposizioni di economisti e tecnici del valore dei professori Borner e Schips fossero fondate. Ci limitiamo a ricordare l’errore marchiano con il quale si fissò il consumo di energia per il 2050 a livelli superati con decenni d’anticipo. Valutazioni talmente errate non possono essere che figlie o di una riprovevole e inaccettabile incompetenza e superficialità o peggio ancora della volontà di forzare volutamente i dati a favore di una tesi preconcetta. L’illusione poi di poter risolvere il tutto con l’importazione di energia ci sta dimostrando tutta la sua fallacia di questi

tempi.

Si potrà obiettare che la strategia proposta dal Consiglio federale a proposito dell’energia è stata approvata nel 2017 con votazione dal popolo. Un aspetto preoccupante che mette in evidenza quanto sia pericoloso per la democrazia, specie su temi di non facile comprensione, ideologizzare il dibattito. La sproporzione delle forze in campo era evidente. Da un lato il parere di tecnici di valore con un libro letto – come sempre – da pochi e ignorato volutamente dagli ambienti del potere. Dall’altro una campagna a favore condotta con determinazione dall’allora capo del Dipartimento federale competente DATEC Doris Leuthard che godeva di stima ed autorevolezza nel Paese e dominava il suo partito. Ha con molto impegno rappresentato quanto i burocrati del suo Dipartimento – che precedentemente e per anni era stato retto dall’intellettuale socialista Moritz Leuenberger, l’orientamento ideologico del quale non lasciava dubbi e che le aveva consegnato in eredità il segretario generale Steinmann, in gioventù avversario dell’energia atomica – le hanno suggerito. Non solo, alla ricerca di quella popolarità che facilmente condiziona i politici, e volendo imitare la cancelliera Merkel, ha preso emotivamente la sfortunata decisione di abolire la produzione di energia atomica in Svizzera, cosa di cui oggi ci pentiamo. Il sostegno dei media, in particolare della SSR, in stretta relazione con il Dipartimento, è stato massiccio. Politicamente si è formato anche un cartello interessato ad una sconfitta elettorale, indipendentemente dal tema in discussione, dell’unico partito che si opponeva alla strategia, l’UDC, a sua volta troppo spesso incline al piacere dell’orgoglio solitario. Il tutto ha pesantemente inquinato il dibattito. Da un fatto prevalentemente tecnico ed economico, dall’esigenza di garantire la fornitura di energia al Paese, si è passati ad un discorso ideologico su argomenti non privi di legittimazione ma da dibattere altrimenti. Oggi ne paghiamo le conseguenze.

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